L’etica ha bisogno di immaginazione
Sapete chi mi ha spinto a cercare di fare buon giornalismo? Pippi Calzelunghe! E a entrare in uno speciale network di professionisti dell’informazione? I musicanti di Brema.
Sapete chi mi ha spinto a cercare di fare buon giornalismo? Pippi Calzelunghe! E a entrare in uno speciale network di professionisti dell’informazione? I musicanti di Brema.
E poi, arriva il momento di staccare la spina. Dalle notizie. Per il timore che siano, per l’ennesima volta, brutte, se non orrende, e ci facciano sentire a disagio. Così le evitiamo.
La migliore eredità della filosofia stoica è stata raccolta dal giornalismo costruttivo. Un lascito confortante, in grado di mantenere ragionevoli e saldi, soprattutto di fronte ai problemi.
Eravamo rimasti a: che fine ha fatto la buona educazione? Certo, è preoccupante. Ma non è nulla, se pensate alla fine che pare stia facendo la verità nell’informazione.
È il mestiere più bello del mondo. Anzi: secondo la celebre battuta di Luigi Barzini Jr, fare il giornalista è sempre meglio che lavorare. Ma ci si nasce o ci si diventa?
I giornalisti sono un conglomerato di gente che se la tira. Immagino che ci avrete già fatto caso, vero? Hanno sempre l’atteggiamento spocchioso di chi si rivolge alla propria cricca.
È un mestiere maledetto, quello del giornalista. Perché chi informa è calamitato in ogni momento dalla realtà esterna. E rischia di perdere di vista il proprio paesaggio interiore.
Forse non ci avete mai pensato, ma la prima qualità che dovrebbe possedere chi fa informazione è la calma. La forza tranquilla di chi osserva il mondo e prova, con pacatezza, a raccontarlo.