La riflessione non va mai di fretta

Sapete perché pensare ci costa tanto? Perché serve tempo. Soprattutto nel mondo della comunicazione, dove sembra che manchi l’opportunità di poter riflettere sul proprio agire.
In marzo, sono stata invitata a partecipare, come relatrice, a una Giornata di studio e formazione professionale per giornalisti dal titolo L’intelligenza artificiale, una sfida per l’informazione. È stata promossa e organizzata a Roma, dalla Facoltà di Comunicazione della Pontificia Università della Santa Croce e dall’associazione ISCOM, e vi hanno partecipato nomi davvero illustri (1). Una tavola sontuosamente imbandita, dove io ero solo una piccola briciola, ma felice di portare il mio contributo.
È stata per me l’occasione di ragionare sull’ingresso dell’intelligenza artificiale generativa nel lavoro dei giornalisti, siano essi freelance o dipendenti. La risposta che ho trovato e condiviso è stata questa: le tecnologie ci doneranno tempo, sta a noi capire come utilizzarlo.
In futuro avremo più tempo
Quando l’artista, designer e filosofo argentino Tomás Maldonado era mio docente di Progettazione ambientale al Politecnico di Milano, rispondeva così, agli studenti che gli chiedevano come ci si sarebbe dovuti comportare nei confronti del fenomeno tecnologico: mas tecnologia para tener mas tiempo, mas tiempo para tener mas pensamiento. Tradotto: più tecnologia per avere più tempo, più tempo per pensare di più.
Se l’intuizione maldonaldiana è corretta, nei prossimi anni potrebbe liberarsi per noi, professionisti dell’informazione, più tempo. E sappiamo tutti quanto il tempo costituisca una variabile delicata nel nostro lavoro.
A volte, la costante temporale acquisisce sfumature addirittura disumane, a causa dello scontro tra tempi definibili come “umani” e quello che il filosofo belga Pascal Chabot ha chiamato, in un suo recente saggio, “ipertempo”, causato dal nostro abituale stile di vita (2). Ne ho parlato di recente in un editoriale per News48, paragonando i giornalisti al Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie.
Come possiamo impiegare i minuti in più
Nell’attesa che si diffonda un’adeguata consapevolezza sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella copertura giornalistica di fatti e fenomeni (tema in cui qui non entro), possiamo subappaltare alle “macchine” le occupazioni giornalistiche a minor valore aggiunto. Con l’accortezza di mantenerci sempre circospetti, ossia senza cadere nell’equivoco che questi strumenti “intelligenti” siano in grado di comprendere e controllare ricerche, fonti, dati, documenti, immagini o idee, perché non sono in grado di farlo.
Cosa fare del tempo che la tecnologia ci donerà? Quali sono le attività che riteniamo a maggior valore aggiunto? Nel mio caso sono quattro, e mi piacerebbe che le praticassimo non da soli, ma insieme ai colleghi, agli editori e, soprattutto, ai lettori, spettatori, ascoltatori e utenti della rete cui ci rivolgiamo:
- riflettere sul nostro agire comunicativo, così da avviare e mantenere degli scambi d’opinione con tutti gli attori dell’ecosistema informativo, tra cui i cittadini;
- studiare perché la preparazione culturale, la formazione e l’aggiornamento professionale nell’ambito di cui ci si occupa, come giornalisti, sono oggi imprescindibili;
- comprendere e decodificare meglio il mondo che ci circonda per poterlo raccontare in modo sempre più efficace per il proprio pubblico;
- immaginare per permettere alla mente di cercare e identificare inedite connessioni tra i fatti, delineando nuovi scenari, e fare, per certi versi, felici scoperte.
L’ultima attività è strettamente connessa al giornalismo costruttivo, perché immaginare vuole anche dire che, di fronte a un fatto o fenomeno, si cerca di esplorare se e come sono state risolte situazioni problematiche. E ciò può portare il pubblico, grazie alla forza emblematica e paradigmatica del racconto giornalistico, a immaginare, a sua volta, possibili soluzioni a problemi similari (3).
E se ci dessimo all’etica?
La prima attività, quella della riflessione, è per me la più importante. Proprio nel senso etimologico dell’importare, ossia del “portare dentro”. È la madre di tutte le altre, perché ritagliarci il tempo per pensare porta quasi inevitabilmente a studiare, comprendere e immaginare. Ed è un’attività etica, per eccellenza: solo uscendo dal gorgo del fare con l’acqua alla gola e iniziando a riflettere sulle nostre scelte, possiamo mettere a fuoco ciò che è buono, giusto e virtuoso.
Meditare sul proprio agire comunicativo significa sentirsi responsabili. Non ci si interroga, infatti, solo sulle prescrizioni comportamentali dei codici deontologici, ma anche sui principi che si ritengono moralmente validi e sulle motivazioni personali che ci spingono a seguirli. Soltanto in questo modo le norme possono essere adeguatamente comprese, giustificate e agite nella concretezza della professione.
Il rischio, a mio parere, è di buttare via il tempo donato dalle tecnologie in chiacchiere inutili, rendendo la conversazione mediatica ancora più ridondante, ricca di tutto e del contrario di tutto, cacofonica e inservibile. Uno dei miei primi articoli, su questo blog, riguardava proprio l’opportunità di tornare a dare valore alla comunicazione… Se vi va di leggerlo (o rileggerlo), sta qui.
Mariagrazia Villa
Approfondimenti
- Antonino Piccione (a cura di), L’intelligenza artificiale, una sfida per l’informazione, prefazione di Manuel Sánchez, Roma, Indipendently Published, 2023 (il volume raccoglie gli Atti della omonima Giornata di studio e formazione professionale per giornalisti, svoltasi alla PUSC di Roma il 15 marzo 2023).
- Pascal Chabot, Avere tempo. Saggio di cronosofia, Roma, Treccani Libri, 2023.
- Assunta Corbo e Mariagrazia Villa, Inversione a U. Come il giornalismo costruttivo può cambiare la società, Milano, Do It Human, 2023.
Crediti fotografici
Foto di Karolina Grabowska da Pixabay.