Che fine ha fatto la passione per la verità?

Che fine ha fatto la passione per la verità?

Eravamo rimasti a: che fine ha fatto la buona educazione? Certo, è preoccupante. Ma non è nulla, se pensate alla fine che pare stia facendo la verità nell’informazione.

È una questione che mi ha sempre destato ansia. Fin da piccola. Il mio ragionamento era semplice: se non esiste una verità, qualcosa di oggettivo su cui tutti troviamo un accordo, che senso hanno le nostre parole? E le nostre azioni? Se ognuno di noi ha la sua verità, confezionata su misura per le proprie esigenze, su cosa possiamo concordare nel nostro vivere insieme? Addirittura: riusciamo davvero a vivere insieme, se crediamo che non ci sia una verità?

Lo specchio di Rumi

Trovo intuitivamente molto efficace la metafora che il poeta persiano Rumi utilizza per la verità, affermando che essa è uno specchio che, cadendo dal cielo, si è rotto. Ciascuno ne ha preso un pezzo e, vedendo riflessa in esso la propria immagine, ha creduto di possedere l’intera verità.

Questa storia mi sembra che illustri bene come ogni persona inquadri inevitabilmente il mondo dalla propria prospettiva, ma credo che metta anche in luce come un’immagine completa da qualche parte sia pur esistita e valga la pena di essere rintracciata, sebbene ognuno ora ne abbia solo una piccola visuale.

Le schegge di vetro sono pericolose. A furia di maneggiarle, molti si sono ritrovati sanguinanti. Da un lato, le hanno strette a sé con troppa convinzione. Dall’altro, le hanno usate per ferire gli altri. Non hanno pensato, insomma, di alzare gli occhi per scorgere il disegno originario dello specchio e della sua cornice.

Quer pasticciaccio brutto de la postmodernità

È soprattutto tra i giornalisti, ahimè, che si contano i principali giocolieri di schegge della verità. Naturalmente, non sono gli unici a lavorare nel grande circo della cultura mediale, ma spesso il loro agire incide sui destinatari delle notizie più di quello di blogger, pubblicitari o altri professionisti della comunicazione. Il motivo? Contribuisce a plasmare l’idea di realtà che la gente percepisce e in cui, di fatto, si trova a vivere.

Chi ha incastrato Roger Rabbit, lo sappiamo. Ma chi ha incastrato la verità? La principale indiziata è senz’altro l’ideologia postmoderna: ha lentamente corroso il pensiero che la verità possa essere definita come una corrispondenza tra ciò che si afferma e ciò che è, per lasciar spazio a un concetto di verità come fiera delle interpretazioni personali. Dall’ontologia all’epistemologia: non è vero ciò che è, ma ciò che so o, peggio, ciò che credo di sapere.

Da «è così» a «presumo sia così»

Sul fatto che l’oggettività dell’informazione, intesa come neutralità avalutativa da parte del giornalista, sia tecnicamente e filosoficamente impossibile, immagino che siamo tutti allineati. Una notizia viene sempre data a partire dal punto di vista dell’osservatore. E quest’angolazione è viziata da mille fattori, dall’educazione ricevuta alle esperienze vissute, dal carattere all’ambiente cui si appartiene, dagli interessi in gioco all’abilità interpretativa.

Ciò non toglie, però, che nel raccontare un fatto o un fenomeno si debba fare di tutto per considerare anche gli altri punti di vista, oltre il proprio, compiendo un serio e diligente lavoro di ampliamento, approfondimento e verifica. Anzi: che sia doveroso farlo (1). La verità sarà sempre putativa, allora, ossia sarà quella che il giornalista in buona fede e dopo una lunga serie di accertamenti ritiene onestamente attendibile. Non sarà mai “la” verità oggettiva e assoluta, ma non dovrà nemmeno mai essere individuale, parziale, infondata.

Se non c’è verità, non ci sono notizie

Se il giornalista rinuncia alla passione per la verità, viene meno il suo dovere e la sua responsabilità a riferirsi alle cose come stanno e a come possono essere intersoggettivamente verificate. Adriano Fabris giustamente afferma che:

Senza il riferimento a qualcosa di vero, e senza la volontà di esprimerlo correttamente, per il giornalismo non ci può essere spazio. Se non c’è verità, non ci sono notizie (2).

Se manca l’ideale di perseguire ciò che è vero per poterlo adeguatamente narrare, il filtro di se stessi e il conseguente relativismo dei propri convincimenti possono diventare l’anticamera di un agire persuasivo e non informativo. Polarizzato, invece che esauriente. Accentrato sulla propria voce, anziché decentrato su tutte le voci in campo. È quello che ha contrassegnato molti media mainstream durante la copertura della pandemia da Covid-19 e, ora, della guerra Ucraina-Russia.

L’esempio del giornalismo costruttivo

Qualche innamorato della verità ancora esiste. Il giornalismo costruttivo, per esempio, promosso in Italia dal Constructive Network e dalla testata indipendente «News48», propone un tipo di informazione che, per le sue stesse caratteristiche, mantiene e onora il legame con la verità. E, così facendo, è in grado di apprendere la complessità del mondo, di ben argomentarla e di condividerla con il proprio pubblico.

Chi pratica questo tipo di giornalismo, infatti, ha a cuore la fiducia da parte dei propri lettori, la ritiene il bene più prezioso, e si sforza di non tradirla. Offre contenuti che mirano a dire la verità, consapevole che i fatti, proprio perché vengono sempre guardati dal punto di vista del narratore, debbano essere scandagliati e spiegati con equità ed esattezza.

Il giornalista che si muove in ottica costruttiva indaga e illustra i problemi con estrema precisione, ma va oltre: forse per la necessità di aggrapparsi al seme del bene nell’umano, come direbbe la poetessa Silvia Salvagnini, racconta anche le possibili soluzioni, analizzandole con cura ed evidenziandone sia i pregi che i limiti. Cerca, insomma, di dare un significato e uno scopo alla sua attività, mettendosi al servizio di ciò che è vero e conservando la propria credibilità.

Non solo la competenza, dunque, ma anche la passione per la verità consentirà all’informazione di rimanere indispensabile al dibattito pubblico e alla crescita delle persone. E il numero sempre più alto di lettori che, anche nel nostro Paese, si affida a firme del giornalismo costruttivo sembra confermarlo.

Mariagrazia Villa


Approfondimenti

  1. Michele Partipilo, La deontologia del giornalista ai tempi dell’informazione digitale, Centro di documentazione giornalistica, Roma, 2018.
  2. Adriano Fabris, L’etica del giornalismo negli attuali scenari comunicativi, Pacini Editore, Pisa, 2019, p. 49.

Crediti fotografici

Foto di ulleo da Pixabay.