Morire domani: un esercizio di autovalutazione
Come comunicate con una persona cara? E se domani, improvvisamente, moriste? Che ricordo le lascereste? Ecco un esercizio utile, prima di volare in cielo.
A nessuno piace mettersi lì, a fare le pulci al proprio modo di comunicare. Soprattutto se si tratta di un interlocutore cui vogliamo bene. Qualcuno di rilevante per la nostra vita. Primo: perché pensiamo di essere delle creature amorevoli, benevole e gentili. Secondo: perché se, ogni tanto, perdiamo la pazienza e sbottiamo di brutto oppure diventiamo acidi e critichiamo a manetta, è tutta colpa dell’altro che ci ha provocato.
Eccoci al nostro nono esercizio di etica della comunicazione (qui trovate l’ottavo). Obiettivo: imparare a valutare il proprio agire comunicativo (prima che sia troppo tardi).
Se domani partiste per l’ultimo viaggio?
Lo so, adesso state facendo gesti scaramantici o toccandovi parti del corpo che non sto qui a nominare. Eppure. Il momento della nostra morte è un ottimo alleato. Non foss’altro che per il fatto che, prima o poi (una bella ola per il “poi”!), ci toccherà affrontarlo.
Ho creato questo esercizio, recuperando una pratica molto antica. Già le diverse scuole filosofiche del periodo ellenistico e romano consigliavano di immaginare la propria dipartita per vivere con maggiore pienezza l’esistenza (1). Un allenamento alla morte che è stato poi ripreso dai mistici cristiani. Sant’Antonio da Padova, per esempio, consigliava ai confratelli di vivere come se avessero dovuto morire ogni giorno.
Cosa vi serve
È un esercizio psicologicamente impegnativo, ma facile da organizzare. Ecco quanto occorre:
- Chi: voi e una persona cui tenete particolarmente e con la quale avete un rapporto quotidiano.
- Cosa: compiere un’attenta autovalutazione su come si comunica con l’altra persona.
- Quando: ogni volta in cui desiderate rendervi conto, in tutta onestà, del vostro “potere” e, dunque, della vostra responsabilità in una relazione.
- Dove: ovunque possiate trovarvi in un’atmosfera silenziosa che facilita la concentrazione.
- Quanto: per far emergere tutte le magagne del vostro agire comunicativo ritagliatevi almeno un’oretta, se volete svolgere l’esercizio con cura.
- Come: con carta e penna, perché mettere nero su bianco la propria analisi interiore la rende decisamente più fruttuosa in termini di riflessioni a posteriori; è la vecchia storia del verba volant, scripta manent…
- Perché: per sviluppare uno sguardo critico nei confronti del proprio modo di comunicare così da poterlo modificare.
L’effetto è inizialmente irritante: l’esame di coscienza non è mai una passeggiata e, dato che quasi mai siamo campioni nel triathlon umiltà-messa in discussione-cambiamento, potreste essere tentati di lasciar perdere. Se non mollate, però, l’effetto diventa illuminante, tipo lampadina che si accende e non vuole più spegnersi. Ed è prezioso, perché vi offre la mappa del tesoro: come migliorare la comunicazione con una persona per voi importante.
In che modo praticare l’esercizio?
Guardate l’ora e immaginate che domani, proprio a quest’ora, morirete. Così, de botto. E senz’appello. Adesso siete il ritratto della salute, certo, e l’ipotesi vi sembra alquanto bizzarra, ma la stranezza, come sappiamo, è uno dei principali condimenti della vita. Scorre a fiumi, altro che la salsa di soia nei ristoranti cinesi!
Chiudete gli occhi e rappresentatevi nella mente cosa accadrebbe, subito dopo la vostra uscita di scena. Più dettagli vedete, meglio è. L’arrivo dell’ambulanza a sirene spiegate, la disperata corsa in ospedale, il «ci dispiace, ma non c’è più niente da fare» del medico del Pronto Soccorso. La notizia che si diffonde per la città, parenti e amici che piangono la vostra scomparsa, increduli e inconsolabili, e qualcuno più lucido che prende finalmente in mano la situazione e inizia a pianificare le esequie. Se riuscite, cercate di immaginare anche il vostro funerale: dove, come, alla presenza di chi. Ascoltate il sermone del parroco e le parole affrante di chi è venuto a darvi l’ultimo saluto.
A questo punto, asciugatevi la lacrima, soffiatevi il naso e poi scegliete qualcuno, tra coloro che vedete con gli occhi rossi accanto alla bara. Una persona cui vorreste dire: «Non sempre ho comunicato bene con te. Ho fatto parecchi errori. Ti chiedo sinceramente scusa». Ora tirate fuori carta e penna e iniziate a scrivere quali sono gli aspetti che, potendo tornare indietro, cambiereste nella vostra comunicazione con questa persona.
Siccome siete morti, avete la prospettiva giusta per valutare il vostro comportamento con serenità, mettendo in fila alcuni difetti comunicativi che, quando entrate in relazione con quella persona, intralciano il vostro legame. Vi stupirete nel constatare quanti ne saltino fuori, porca pupazza. Come se li aveste sempre “sentiti” dentro di voi, ma mai esplicitati e portati a livello di consapevolezza.
C’è qualcosa da imparare?
È un esercizio che, grazie al potere dell’immaginazione, ci dona una formidabile lente d’ingrandimento. Tenere la nostra morte davanti agli occhi rende più nitida ogni cosa, anche il proprio agire comunicativo.
Inoltre, se non attribuiamo i disastri della nostra comunicazione all’altra persona ma rimaniamo su di noi, comprendiamo che possiamo essere la causa, non solo l’effetto, del comportamento altrui. Non siamo solo noi, infatti, a reagire all’altro, anche l’altro reagisce a noi.
L’insegnamento che ci portiamo a casa, allora, è che, anziché ostinarci a cambiare l’altro (attività già persa in partenza, se l’altro non ne ha la minima intenzione e, di solito, non ce l’ha), dobbiamo trasformare noi stessi. In questo modo, diventiamo attivi e riusciamo a esercitare la nostra responsabilità all’interno della relazione per provare a migliorarla. Evitando di accettare che vada come vada, «tanto l’altro non vuol saperne di cambiare».
Fingere di morire potrebbe essere una brillante idea, che ne dite? Anzitutto, perché domani saremo ancora qui. E poi, perché potremo riprendere in mano il nostro foglio di autovalutazione per iniziare a correggere tutte quelle pecche comunicative di cui ci siamo resi conto. Buon trapasso, dunque, e buon lavoro!
Mariagrazia Villa
Approfondimenti
- Pierre Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, tr. it. di Arnold I. Davidson, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2005 (la prima edizione, in francese, è stata pubblicata nel 2002).
Crediti fotografici
Foto di Mona El Falaky da Pixabay.