Fabrizia Dalcò: le parole sono donne, e i fatti pure

Fabrizia Dalcò: le parole sono donne, e i fatti pure

Fabrizia Dalcò ha il dono di sentirsi interpellata dalla vita. Di farsi carico del coraggio. Di preoccuparsi delle altre. Conosce e mette in discussione, non si accontenta di essere consolata.

L’ho scelta come nona fiùtola di Amletica (qui potete scoprire l’ottava) perché è una comunicatrice che ha tanto da insegnarci. Almeno a me, sì. È una storica coltissima, una femminista che non ha paura del buio (e nemmeno del perbenismo di questi anni Venti del XXI secolo), una scrittrice e giornalista in grado di scardinare il senso comune.

Una vita al femminile plurale

Fabrizia Dalcò è esperta in politiche di genere. Dottoressa di ricerca in Storia, ha un diploma in Archivistica, Paleografia e Diplomatica e un corso di perfezionamento universitario in Esperta in politiche di parità. Appassionata di storia delle donne e autrice di interessanti pubblicazioni (1) (2), si occupa di progetti dedicati alla valorizzazione del pensiero femminile e alla promozione delle pari opportunità. È responsabile della struttura operativa Cittadinanza Attiva e Pari Opportunità del Comune di Parma.

Ha ricevuto riconoscimenti per l’attività giornalistica: il Premio speciale “Professionalità e ricerca” per il volume Dizionario biografico delle Parmigiane, alla Rassegna Internazionale Padus Amoenus 2013; il Premio speciale Giornalistico Nazionale “Pietro Bianchi”, alla Rassegna Internazionale Padus Amoenus 1999. E riconoscimenti per l’attività di ricerca, come il Premio “Daniela Mazza” per tesi di laurea aventi carattere storico sociale su temi inerenti le donne e il loro apporto nella società.

Ha ideato il blog In genere: dedicato a donne e uomini, pubblicato dalla “Gazzetta di Parma” dal 2015 al 2018. E nell’anno 2020 ha condotto la rubrica letteraria “Narrativa plurale: scritture a confronto” sul gruppo Facebook Book Advisor dove ha intervistato numerose scrittrici. Collabora con l’Enciclopedia delle Donne online ed è autrice di saggi e articoli sulla storia di Parma. È una donna che ha saputo crearsi una stanza tutta per sé (3). E ora mi fa piacere entrarci insieme a voi.

Fabrizia, quando e perché hai iniziato a occuparti di valorizzazione del pensiero femminile e della promozione delle pari opportunità?

Per rispondere devo ritornare al momento in cui ho trovato un lavoro “vero” dopo anni di precariato, quando ho cominciato a lavorare per la Provincia di Parma. A chiamarmi fu la Dirigente alle Pari opportunità: ci eravamo incontrate a un convegno (io ne curavo l’organizzazione) e l’avevo colpita. Così è iniziato il mio interesse per le politiche di parità e di pari opportunità, quasi per un caso. Eppure oggi mi rendo conto che c’era già e, da molti anni, la passione per le donne, figure scomparse dalla storia raccontata. Ricordo che il tema che scelsi alla maturità era dedicato alle figure femminili nella letteratura italiana dell’Ottocento: scrissi di Silvia, di Lucia, di Nerina e della Pisana. Per il racconto di questa donna straordinaria, figura comprimaria nelle Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo, mi presi i complimenti della Commissione d’esame. Insomma una passione grande da sempre, proseguita con gli studi universitari.

Da giornalista a giornalista: come vengono comunicate oggi le donne dai media?

Ci sono tanti modi, e tutti stereotipati. Cerco di spiegarmi. Ogni donna che viene comunicata deve corrispondere a un modello predefinito. Quindi affermata e di potere uguale donna sola; di successo e affermata uguale donna in coppia ma, spesso, in crisi d’amore. Delle donne viene comunicata, sempre, la sfera sentimentale, intima e privata. Questo mi è parso sempre terribile. Ora, dopo molti anni, mi rendo conto che è anche il modo di raccontarsi delle donne: non fare a meno della sfera privata ci dice che siamo capaci di conciliare, di prenderci cura, di accogliere. E di essere donne anche donne potenti. Media vuol dire anche immagine: e, per molti anni, soprattutto in Italia abbiamo visto cameramen indugiare su sederi e corpi femminili. Un occhio che trasmette quello che gli uomini vogliono vedere. Eppure sono ottimista: da quando su Rai Uno, in trasmissioni molto seguite, vedo giovani donne, prima in perizoma, ora in tailleur pantaloni.

Se l’etica della comunicazione è riflettere sul nostro agire comunicativo, perché è importante che le donne riflettano su come “vengono dette”?

Le donne devono riflettere su come vengono dette e anche su come si dicono. Per questo ritengo fondamentale che le giornaliste assumano un punto di vista particolare, prendano a cuore la questione. Come viene raccontata una donna vittima di stupro? Si può raccontare una violenza senza diventare vittime a propria volta? Le donne entrano più in empatia e assumono lo sguardo della vittima? Non so e, forse, non vale per tutte le giornaliste: eppure quanto conta appartenere a un genere (quello femminile) discriminato da millenni, abusato, sottomesso? Non si può generalizzare ma leggo giornaliste attente al linguaggio che utilizzano, capaci di esercitare la cura anche in quello.

Sei l’autrice del Dizionario biografico delle Parmigiane. Qual è la figura che ti ha più colpito e per quale ragione?

Molto spesso mi fanno questa domanda ed è difficile scegliere. Il Dizionario (quasi 2.000 schede) è composto da donne straordinarie, famose e meno famose, tutte capaci di affermare il loro talento, creatività, forza. Però mi viene sempre in mente per prima Giovanna Bertola Garcea, maestra e direttrice didattica che vive a Parma, per un breve periodo alla fine dell’Ottocento, ma lascia il segno: infatti progetta e realizza “La voce delle donne”, un periodico che racconta di istruzione femminile, di potere delle donne. Il vescovo dal suo pulpito raccomandava di non acquistare il foglio perché voce del diavolo. Una delle prime emancipazioniste italiane ha vissuto a Parma.

Cosa possono fare le donne, concretamente, per modificare lo storytelling che le riguarda?

Le donne possono essere alleate. E lo sono, molto più di quello che pensiamo. La narrazione che le donne siano nemiche, sempre in competizione, agguerrite è narrazione maschile, per anni, dominante. E acquisita anche da molte donne. Invece le donne, insieme, e anche con uomini capaci di stare loro accanto con regole diverse da quelle finora giocate, sono fortissime, s’impegnano, hanno ottimi risultati. Basta pensare alle ragazze, alle giovani donne che hanno opportunità di formazione, di crescita: sono imbattibili.

Cosa può fare la società per sostenere le politiche di genere?

La società siamo noi: siamo noi la comunità. Possiamo cominciare con il linguaggio. Per esempio utilizzare il femminile è di grande importanza, soprattutto quando parliamo di ruoli di potere. Con il linguaggio affermiamo che, in quel ruolo, c’è una donna. È come un campanello, un trillo che richiama l’attenzione. Non accontentiamoci di pensare che parliamo di ruolo e, quindi, al maschile: dire sindaca, architetta, ingegnera segnala un cambiamento. E nessuno di noi penserebbe di dire che una donna fa il cantante, ma non ci stupiamo di dire che una donna fa il presidente. La lingua è mobile e non c’è altro esempio di resistenza così forte come l’introduzione del femminile nei luoghi che contano. Quindi ognuna e ognuno di noi può fare qualcosa.

Per saperne di più

Volete conoscere un po’ meglio Fabrizia Dalcò? Potete vederla in questa videointervista di Repubblica Parma sul Dizionario Biografico delle Parmigiane, leggerla in un suo racconto dal titolo Mani di donna, seguirla in un’intervista rilasciata a Luca Farinotti sulla storia della disparità di genere, dagli albori della civiltà fino al tempo del coronavirus.

Mariagrazia Villa


Approfondimenti

  1. Fabrizia Dalcò, Monasteri e conventi femminili nella Parma medievale, Nuova Editrice Berti, Parma 2015
  2. Fabrizia Dalcò (a cura di), Dizionario biografico delle Parmigiane, Nuova Editrice Berti, Parma 2016.
  3. Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, tr. it. di L. Bacchi Wilcock e J.R. Wilcock, Feltrinelli, Milano 2013 (prima edizione in lingua inglese: ottobre 1929).

Crediti fotografici

Foto Archivio Fabrizia Dalcò.