Giada Mete, progettista di case felici per vite felici

Giada Mete, progettista di case felici per vite felici

Gli edifici in cui viviamo, lavoriamo, studiamo o passiamo il nostro tempo libero possono renderci più o meno felici? Giada Mete ne è sicura: molto della nostra felicità dipende da loro.

Nel 2006, quando ancora scrivevo di architettura, ho letto un libro di Alain de Botton che mi ha esaltato (1). Ho trovato espresso quello che era il mio sentire: un luogo può farci sentire a mille o abbatterci, darci speranza o indurci alla disperazione, illuminarci o scurirci.

Qualche anno dopo ho conosciuto l’ottava fiùtola di Amletica che vi presento oggi: Giada Mete, bioarchitetta olistica, home coach e consulente Vastu. Un’anima davvero speciale.

Chi è la nostra fiùtola

La carriera di Giada è partita con il botto. Nel 2000, infatti, la sua tesi di laurea è stata citata dal Corriere della Sera e dalle maggiori testate giornalistiche e televisive nazionali. Il motivo? La neoarchitetta aveva affrontato, con un lavoro scientifico appoggiato dal WWF, i rischi idrogeologici delle fiumare calabresi, arrivando a prevedere il disastro di Soverato (Catanzaro) in cui persero la vita 12 persone.

Da allora, la relazione uomo-ambiente è alla base della sua missione. Realizza e ristruttura abitazioni in diverse città italiane e lavora ovunque ci sia bisogno di progettare case felici per vite felici. A lei la parola, sperando che possa ispirare tanti di noi a riflettere sui luoghi in cui trascorriamo la nostra esistenza…

Giada, quando hai capito che l’architettura incide sulla felicità delle persone?

Nella mia vita ho cambiato tantissime case e ho sempre avuto una particolare sintonia con i luoghi, ne ho sempre percepito l’energia presente, anche quando andavo a casa di qualcuno. Durante gli anni dell’università, ho ricevuto una formazione tradizionale, fatta di numeri e parametri dimensionali, ma sentivo che c’era qualcosa di incompleto in quella conoscenza: una casa, nella quale passiamo buona parte della nostra vita, ma anche i luoghi di lavoro, non potevano essere ridotti a dimensionamenti ed estetica. Il caso ha poi voluto che mi imbattessi in un libro di Christopher Day (2): basato sull’approccio steineriano, dava ampio spazio a un concetto allargato di relazione tra uomo e casa, tra sviluppo emotivo e luogo nel quale si vive. Sono passati anni dall’acquisto di quel libro, ma ancora oggi è sulla mia scrivania. Ho fatto tante esperienze professionali, finché mi sono resa conto che il problema era molto più semplice di quanto pensassi: qualunque scelta facciamo, anche nella realizzazione di una casa, la facciamo perché in qualche modo vogliamo essere felici!

Hai lavorato per un po’ di anni in una show-room di fascia alta.

Sì, e ho potuto vedere come l’insoddisfazione fosse molto spesso presente sui volti dei clienti: entravano con un’idea per poi cambiarla mille volte, senza un filo logico da seguire. Perché? Con il tempo mi sono accorta che tutto dipende da quanto siamo consapevoli di noi stessi, dei nostri bisogni, dei nostri desideri, delle nostre abitudini, ma soprattutto di cosa ci rende davvero felici in maniera duratura. Non potevo accettare l’idea che le persone spendessero tanti soldi per vivere in luoghi nei quali non riuscivano a costruire la vita capace di condurli sulla strada della felicità. Una casa è il luogo primario nel quale essere felici! Anche se questo non significa che tutte le nostre case saranno perfette al primo colpo, perché ogni casa porta con sé un’esperienza unica. La felicità non è un interruttore, ma un percorso fatto di scelte consapevoli e la nostra casa è un mezzo fondamentale per il nostro percorso di ricerca.

Se l’etica della comunicazione è riflettere sul proprio agire comunicativo, cosa ti spinge a fare bioarchitettura olistica?

Ho sempre pensato che esiste una forte relazione tra noi e il mondo circostante. Durante il liceo artistico mi ero imbattuta in studi di psicologia, in particolare in Jung, la sua visione simbolica e il suo percorso attraverso i Mandala (strumento ancora fondamentale nel mio percorso personale e professionale), all’interno del quale racchiudeva il complesso sistema della psiche. In quegli stessi anni, stavo muovendo i primi passi verso una ricerca spirituale che metteva sempre più in evidenza il rapporto tra le cose. Quando ho iniziato a capire l’importanza che la casa riflette nella nostra ricerca di felicità, ho capito che bisognava includere nuovi aspetti nel processo progettuale. Ho iniziato ad approfondire studi meno legati alla mia professione, come quelli di Coaching, un percorso che utilizza interessanti strumenti per guidare le persone in una ricerca di crescita personale, finché mi sono imbattuta in una formazione online del MIT di Boston basata sull’approccio sistemico, che ha dato una struttura al mio percorso, gli ha dato concretezza.

Su cosa lavori con i tuoi clienti?

Lavoro sulla consapevolezza delle persone, entro nel loro mondo in punta di piedi per aiutarle a scoprire il loro mondo interiore, per aiutarle a contattare la loro visione di casa, non quella che hanno strutturato nella mente a forza di immagini subliminali, ma quella del cuore. Quello che devo realizzare è il loro luogo interiore, un luogo pacificante e risonante con la loro energia, un luogo che le supporti nella loro crescita (3).

Perché una visione olistica dell’architettura costituisce un approccio innovativo e di valore?

Perché è una visione inclusiva, co-creativa. Se da un lato tiene conto della persona (con i suoi bisogni pragmatici, ma soprattutto di realizzazione personale), dell’ambiente e della casa, dall’altro tiene conto delle relazioni tra di essi. L’approccio olistico aiuta a tenere insieme le cose: una scelta cromatica, per esempio, non è solo un dettaglio decorativo, ma influenza l’individuo a livello energetico ed emotivo. Un arredamento spigoloso, rispetto a uno dalle linee più morbide e arrotondate, da un’esperienza diversa dell’ambiente e comunica cose differenti. Una zona pranzo, non è solo un ambiente nel quale mangiamo, ma un luogo nel quale nutriamo la nostra energia sottile. All’interno di un percorso progettuale, confluiscono tantissimi dati, da quelli tecnici a quelli emotivi e sensoriali, a quelli creativi, che danno vita a un complesso sistema continuamente da monitorare: non sono dati che possiamo mettere semplicemente insieme, bisogna tenere conto delle relazioni che si instaurano tra loro.

Sei una delle divulgatrici in Italia del Vastu. Su quali concetti cardine ruota, questa filosofia all’abitare?

Ho iniziato a studiare Vastu, intorno al 2005. In Italia non esisteva niente, ma io stavo seguendo un percorso personale molto intenso, attraverso il quale mi ero avvicinata allo yoga, alla meditazione e allo studio della medicina ayurvedica. Il primo libro sul Vastu (4) mi venne regalato sotto forma di fotocopie e, quando lo lessi, capii subito che era la strada che volevo seguire. Il Vastu è stato fondamentale nella scelta di seguire un approccio olistico, perché parliamo di una conoscenza antica, riportata nei Veda, i testi sacri dell’India, basata sul rispetto della sacralità dei luoghi.

Quali sono gli strumenti concreti del Vastu?

Buona parte di questi strumenti si trova in diverse culture. Per esempio, quando parliamo di sacralità di un luogo, possiamo rifarci al concetto di Genius Loci, che nell’antica Roma era il genio del luogo che doveva essere rispettato, e nel Vastu è chiamato Purusha. Oppure, quando parliamo di bioclimatica, che studia come il clima influenzi un’abitazione e possa essere sfruttato in maniera vantaggiosa per ridurre i consumi dedicati a riscaldamento e raffrescamento, attraverso una migliore esposizione e una gestione funzionale del clima stesso. Anche nel Vastu l’individuazione degli assi principali (cardo e decumano romani) è essenziale per studiare i parametri fisici e climatici del luogo, filtrando i dati attraverso la Bussola Vastu o Vastu Purusha Yantra. È uno strumento che ci guida in una collocazione di massima degli ambienti abitativi: tiene conto dell’esposizione secondo le ore della giornata, rifacendosi all’orologio ayurvedico, dell’energia dei 5 elementi, ossia etere, acqua, aria, terra e fuoco, e di molte altre informazioni, anche legate alla persona. Perché utilizzare la scienza del Vastu? Perché è giunto sino a noi senza perdere i pezzi essenziali di questa conoscenza, mentre in Occidente ne abbiamo perso le tracce.

Quanto è importante essere affiancati da una home coach nel progettare, ristrutturare o arredare le proprie abitazioni?

Ho strutturato il percorso di Home Coaching qualche hanno fa. Ero alla ricerca di uno strumento che mi permettesse di entrare in relazione profonda con le persone e di guidarle nel percorso di progettazione nella maniera giusta. Non solo in merito al rapporto progettista-cliente, ma anche per la gestione di tutte le relazioni che si creano intorno a un lavoro di progettazione con artigiani, impresa, fornitori, collaboratori, ecc. La buona energia di una casa si costruisce proprio nelle fasi di progettazione e costruzione, mantenendo un clima sereno e costruttivo. Non mi interessava sottoporre proposte ai clienti per sentirmi dire se gli piacevano o no, volevo progettare con loro, per loro, e volevo che mi trasmettessero la visione della loro casa interiore.

Quale senti essere il tuo ruolo?

Quello dell’istruttore di guida, che ti siede accanto con tutti i comandi ma lascia all’allievo la guida, intervenendo quando è necessario. Faccio più o meno la stessa cosa. Nella fase iniziale di un progetto, mi metto in ascolto dei clienti, coinvolgendo anche tutti i componenti della famiglia in età scolare, e mi faccio raccontare la loro vita, le loro abitudini e dinamiche, li guido in un percorso di ricerca. E, spesso, chi arriva con la classica casa bianca e minimalista, finisce per raccontarmi una casa ricca di dettagli e colori. Attraverso questo percorso cerco di bypassare le influenze dovute ai media, che in questo momento storico sono davvero invadenti, ma anche quelle sociali e familiari. Voglio tirare fuori l’unicità delle persone e di ogni nucleo familiare. Passo circa un mese a parlare con le persone, senza disegnare, senza parlare direttamente della loro casa e, quando è il momento di farlo, tutto fluisce da sé. Il disegno della loro casa viene fuori senza sforzo, perché dentro di me ho tutto quello di cui ho bisogno per trasformare la loro visone di casa nella loro casa felice.

Se volete conoscere meglio Giada, potete visitare il suo sito personale o quello del suo progetto professionale. Potete iscrivervi al suo canale YouTube, seguire la sua pagina Instagram o il suo profilo Linkedin. Infine, potete leggere il suo ebook Stai Calma & Colora la tua casa con i Chakra, edito da Wide Edizioni. Scommettiamo che vi conquisterà?

Qui, invece, trovate la settima fiùtola di Amletica che, l’architettura, non la pratica ma la comunica.

Mariagrazia Villa


Approfondimenti

  1. Alain de Botton, Architettura e felicità, Guanda, Parma, 2006
  2. Christopher Day, La casa come luogo dell’anima. Architettura, progettazione ambientale e arte dell’abitare, Red Edizioni, Milano, 1993
  3. Giacomo Rizzi, Abitare, essere e benessere. Architettura d’interni e psicologia, LED Edizioni Universitarie, Milano, 1999
  4. Alessandro Checchi, Il Vastu. La scienza dell’architettura indiana, Xenia Edizioni, Milano, 2009

Crediti fotografici

Foto Archivio Giada Mete