Darsi torto: un esercizio di flessibilità
Quante volte dovremmo imparare a sentirci meno convinti di qualcosa? Invece, siamo fissati con il voler avere ragione a tutti i costi. Ci incaponiamo proprio. E guai a chi ci contraddice.
Con le nostre opinioni, ci piace “esse de coccio”. Facciamo fatica a retrocedere, anche solo di una virgola. E forse questa “narrativa della sicurezza” con cui veniamo tempestati ogni giorno ne è, almeno in parte, responsabile. A furia di sentirci dire “sii sicuro di te stesso!”, finiamo col credere che la solidità e l’integrità morale corrispondano a una mancanza di elasticità mentale e, dunque, di umiltà.
Eccoci, allora, al nostro ottavo esercizio di etica della comunicazione (qui trovate il settimo). Obiettivo: imparare a criticare le proprie idee e a prendersi meno sul serio.
Se foste voi stessi a contraddirvi?
Qualche giorno fa ho riflettuto su come, nelle università medievali, fossero strutturati i dibattiti: una quaestio chiara, due posizioni contrapposte, giudici che valutavano la qualità, la quantità e la pertinenza degli argomenti proposti dai disputanti. Ancora oggi, c’è chi applica il principio dell’essere pro o contro una questione come strumento educativo (1).
Ecco, punto per punto, cosa vi serve per svolgere l’esercizio.
Chi: voi e un’opinione che vi sta particolarmente a cuore e sulla quale vi sentite “incrollabili”.
Cosa: favorire, attraverso la creazione di un’opinione contraria, una maggiore attenzione nei confronti di quanto si pensa e una valutazione più ampia e ponderata della questione.
Quando: ogni volta in cui desiderate collaudare un vostro pensiero, mettendolo in discussione.
Dove: ovunque ce ne sia l’occasione.
Quanto: il tempo che serve per far emergere tutte le considerazioni opposte al vostro pervicace convincimento.
Come: con carta e penna, sforzandosi di contraddire la propria opinione con metodo, ossia sfoderando capacità critiche e dicendosele di santa ragione.
Perché: per sviluppare un atteggiamento valutativo nei confronti delle proprie sicurezze, attaccandole e mettendole in crisi per verificarle.
L’effetto è inizialmente fastidioso, perché darsi la zappa sui piedi non è mai piacevole. Dopo, però, diventa interessante perché si cominciano a mettere a fuoco aspetti controversi sulla propria opinione. Aspetti che fanno tremare e implodere quello che si credeva essere un comodo bunker antiatomico. E si prova un meraviglioso senso di apertura verso l’esterno. Come se la nostra coscienza avesse spostato più in là il proprio orizzonte.
In che modo praticare l’esercizio?
Dopo aver scelto un’opinione in cui credete molto, scrivetevela su un foglio. Quindi, mettetela idealmente sul tavolaccio del teatro anatomico e annotatevi l’opinione contraria. Ora cercate di allestire una palestra della divergenza, andando a trovare e trascrivere almeno tre buoni motivi (meglio se ne scovate di più) a sostegno della tesi opposta alla vostra. Queste, non devono essere ragioni del piffero, naturalmente, ma ragioni vere, valide, pertinenti.
Facciamo un esempio. Scegliete l’opinione che «tutto si può perdonare» perché ritenete che, in linea di bontà di cuore, subito dopo Gesù venite voi. L’idea contraria è che «non tutto si può perdonare». Le argomentazioni a favore della tesi opposta possono essere le seguenti:
- Il perdono non sempre è possibile, sul piano della realtà umana: solo Dio, beato lui, può perdonare ogni cosa, non gli uomini.
- È giusto che alcune azioni non vengano perdonate così da salvaguardare la giustizia terrena.
- Senza punizione, il reo non avrebbe la possibilità di riconoscere il suo errore, di redimersi e di essere rieducato.
- Come fa, la vittima che perdona, ad avere la garanzia che la persona perdonata non reiteri il proprio comportamento sbagliato?
- Chi perdona va contro il principio di autoconservazione: se perdoniamo chi intacca la nostra integrità fisica o psichica, permettiamo ai forti di prevalere sui deboli e, non andiamo solo contro noi stessi, ma pure contro gli interessi della società.
Dopo aver snocciolato (e pure qui una ciliegia tira l’altra) tutte le argomentazioni contrarie alla vostra opinione, avrete modo di valutare se hanno incrinato, di poco o di tanto, la vostra sicurezza. O se, invece, non vi hanno convinto. In quest’ultimo caso, comunque, l’esercizio di darvi torto vi avrà permesso di dissotterrare, nella vostra opinione, tutti quegli elementi che non avevate considerato prima e che ora vi rendono meno convinti della sua inossidabilità.
C’è qualcosa da imparare?
La domanda è così semplice che tramortisce: preferiamo imparare o avere ragione? Un pensiero contrario al nostro può essere una vera e propria benedizione, sia che lo troviamo convincente sia che lo rifiutiamo.
Anzitutto, perché il dissentire da noi stessi ci abitua a essere flessibili, morbidi, snodati, elastici (un po’ come un corso di yoga o di pilates, ma interiore). Poi, perché ci spinge a vedere sotto un’altra luce chi porta un’opinione diversa dalla nostra all’interno di una relazione.
La flessibilità è una virtù etica, soprattutto quando la eserciti nei confronti delle altre persone. Esercitarla nei tuoi confronti è, più che altro, un atto d’intelligenza evolutiva: serve tantissimo ma, non di necessità, ti regala un’aura morale e un 10 in condotta.
Nella tua relazione con gli altri, invece, se stabilisci di essere in fibra di carbonio, e non di lonsdaleite (pare sia la pietra più dura in natura), compi una scelta di rilevante significato morale. È mettere in preventivo di cambiare, senza snaturarti, per venire incontro al tuo interlocutore. È accettare di aprirti alle tesi dell’altro e di mettere in gioco le tue. È condividere il rischio che ognuno di voi perda, almeno in parte, sé stesso per ridefinirsi in un’identità nuova (2).
Per pensare davvero con la nostra testa, quindi, e accogliere quella altrui, dobbiamo contraddirci più spesso. La conoscenza non è mai ferma, se ci pensate. Tutto cambia, non ci bagniamo mai due volte nello stesso fiume, eccetera eccetera. Perché, allora, dovremmo essere dei fossili umani?
Mariagrazia Villa
Approfondimenti
- Adelino Cattani e Novella Varisco, Dibattito argomentato e regolamentato. Teoria e pratica di una Palestra di botta e risposta, Loescher Editore, Torino, 2019.
- Mariagrazia Villa, Il giornalista digitale è uno stinco di santo. 27 virtù da conoscere per sviluppare un comportamento etico, Dario Flaccovio Editore, Palermo, 2018, pp. 246-7.
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