Esaminare la giornata: un esercizio di consapevolezza

Esaminare la giornata: un esercizio di consapevolezza

Gli antichi, che la sapevano parecchio lunga, amavano monitorare la propria vita. Non buttarci un occhio, ogni tanto. Ma farlo con frequenza e regolarità.

L’esame di coscienza ha un’onorata carriera alle spalle e una storia blasonatissima. Lo sapevate? Già praticato nelle principali scuole filosofiche dell’antichità, è stato recuperato dalla teologia cristiana come esercizio spirituale, cristianizzandolo nei temi e facendolo entrare nei monasteri così come nell’esperienza dei laici (1).

Un giardino da sette fiori

Da bambina, studiavo in un collegio femminile di religiose. La nostra maestra, Suor Maria Attilia, che era una fanatica tanto di Bobby Solo quanto dell’esame di coscienza, aveva chiesto a noi alunne di fare un esercizio ogni sera: riandare con il pensiero alla giornata appena trascorsa e immaginare un giardino di fiori (per fortuna, non Bobby con una lacrima sul viso!); per ogni buona azione compiuta, una corolla nuova si apriva, mentre per ogni cattiva azione, un bocciolo purtroppo appassiva.

Io avevo ipotizzato un giardino con sette fiori. Un po’ perché il 7, già allora, mi piaceva molto come numero, un po’ perché ritenevo che partire con sette virtù fosse, per una bambina così piccola, più che sufficiente. E avevo visualizzato dei modesti fiori di campo, come margherite, non-ti-scordar-di-me e violette, sia per un innato understatement che non mi sarei mai più tolta di dosso sia perché erano i fiori con cui avevo più famigliarità, rispetto alle eleganti rose o alle misteriose orchidee.

Vado fiera di aver mantenuto, per tanti anni, il mio piccolo paradiso fiorito in perfetto equilibrio. Cosa succedeva, infatti? Se avevo combinato una birichinata (ero solita farne, ahimè), abbattevo senza pietà un fiore ma, subito dopo, mi sforzavo di rintracciare nella memoria qualche bel gesto che potevo aver compiuto, almeno uno, giusto per riportare il mio giardino a sette fiori. Con questo istinto all’omeostasi, non sono mai diventata un’irrecuperabile monella e nemmeno un’odiosa perfettina che nessuno vuole scegliersi come amica. Soprattutto, mi sono resa consapevole delle mie azioni, il che non è poco.

Perché non esaminarsi?

Veniamo, allora, al nostro dodicesimo esercizio di etica della comunicazione (qui trovate l’undicesimo). Obiettivo: ripercorrere le nostre giornate per comprendere quanto lo stile comunicativo che adottiamo sia stato buono e, qualora non lo sia stato, come possiamo migliorarlo.

L’idea di questo esercizio mi è venuta proprio per far prendere coscienza alle persone di come comunicano. È un’azione così spontanea e connaturata alla nostra natura di esseri comunicanti che, quasi mai, ci facciamo caso. E, invece, dovremmo.

Cosa vi serve

È un esercizio semplice ma deflagrante, se praticato con attenzione e, soprattutto, senza barare. Ecco quanto vi occorre:

  • Chi: voi e la vostra coscienza; dunque, sembra che siate da soli, ma in realtà siete in due.
  • Cosa: favorire una riflessione sul vostro agire comunicativo, prestando attenzione ai dettagli che hanno caratterizzato uno spazio di tempo determinato.
  • Quando: la sera, prima di spegnere la luce e addormentarvi (o avere gli incubi, dipende da com’è andato il vostro esame di comunicazione).
  • Dove: in poltrona, mentre sorseggiate una camomilla a fine giornata, ma anche nel vostro giaciglio, alla morbida luce dell’abat-jour.
  • Quanto: il tempo che ritenete necessario; può trattarsi di dieci minuti come di mezz’ora.
  • Come: con un taccuino dedicato allo scopo, che terrete sul comodino (come sapete, è meglio non utilizzare dispositivi elettronici prima di andare a nanna).
  • Perché: per analizzare quali sono stati i vostri comportamenti comunicativi e come potete fare meglio domani visto che, Rossella O’Hara insegna, domani è un altro giorno.

L’effetto è motivante, se amate fare le pulci a come comunicate e, in particolare, se desiderate migliorare nel tempo e non diventare delle antichità comunicative. L’effetto diventa urticante, per il vostro ego, se non siete dei fan dell’individuazione di vostri eventuali errori di comunicazione per poterli correggere.

In che modo praticare l’esercizio?

Lo schema è quello classico dell’esame di coscienza, ma le domande vertono sull’ambito comunicativo della vostra esistenza. Dovete eseguirlo a fine giornata, poco prima di sparire sotto le coltri. Siccome dovete essere sufficientemente lucidi, evitate di ridurvi a fare l’esercizio quando non tenete più gli occhi aperti dalla stanchezza e fate sbadigli da foca monaca.

Per favorire la creazione di un’abitudine quotidiana, procuratevi un taccuino che vi piaccia. Sarebbe meglio optare per un’agenda organizzata come un diario giornaliero, con una pagina per ogni data.

Una volta che avete scelto il vostro quaderno, sistematelo sul comodino con una biro. Così, ogni volta in cui andrete a dormire, sarete costretti a vederlo. E, si spera, a non bypassarlo.

Le domande da farsi

Prendete il vostro diario e iniziate a trascrivere le risposte a queste 15 domande, ripensando a come si è svolta la giornata, da mattina a sera:

  1. Oggi ho comunicato male con qualcuno?
  2. Cosa è accaduto?
  3. Cosa mi ha spinto a comportarmi in quel modo?
  4. Cosa volevo ottenere?
  5. Potevo fare qualcosa per aggiustare il mio agire comunicativo?
  6. Perché non l’ho fatto?
  7. Che conseguenze avrà il mio comportamento su questa persona?
  8. Cosa posso fare per superare questo aspetto della mia comunicazione?
  9. Cosa posso fare, già da domani, per migliorare la mia relazione con questa persona?
  10. Rispetto al problema di comunicazione che ho riscontrato ieri, ho fatto qualcosa oggi per risolverlo?
  11. Se sì: che cosa ho fatto? Come mi sono sentito? Che cosa ho appreso?
  12. Se no: cosa mi ha ostacolato? Come mi sento? Che cosa ho appreso?
  13. Rispetto al problema di relazione che ho messo in luce ieri con quella persona, ho fatto qualcosa oggi per risolverlo?
  14. Se sì: che cosa ho fatto? Come mi sono sentito? Che cosa ho appreso?
  15. Se no: cosa mi ha ostacolato? Come mi sento? Che cosa ho appreso?

Come dite? Vi sembrano tante? Se è così, potete ridurle a queste cinque:

  1. Oggi ho commesso degli errori, comunicando con qualcuno?
  2. Perché è accaduto?
  3. Cosa potevo fare per evitarli?
  4. Rispetto agli errori che ho riconosciuto ieri, cosa ho fatto oggi per migliorarmi?
  5. Qual è il mio obiettivo per domani?

Vi sembrano troppe anche ora? Allora, cari e care, spegnete la luce e sogni d’oro.

C’è qualcosa da imparare?

Beh, è una cosa da chiedere? Certo che c’è qualcosa da imparare! Personalmente, credo che sia di grande utilità prendersi cura di se stessi e del proprio modo di comunicare. Perché l’etica, intesa come la ricerca di uno stato superiore dell’io, è un esercizio mai terminato, e richiede un impegno che si rinnovi costantemente, non una tantum.

La consapevolezza cui conduce questo speciale esame di coscienza, se svolto ogni giorno, può determinare uno sconvolgimento totale del nostro modo di comunicare. In meglio, sia chiaro. E il motivo è presto detto: nel suo divenire un’abitudine quotidiana, è un potente dispositivo di trasformazione interiore. Perché non provare?

Mariagrazia Villa


Approfondimenti

  1. Pierre Hadot, La filosofia come modo di vivere. Conversazioni con Jeannie Carlier e Arnold I. Davidson, Einaudi, Torino, 2008 (la prima pubblicazione, in lingua francese, è uscita nel 2001).

Crediti fotografici

Foto di Anna Nekrashevich da Pexels.