Papa Francesco: ascoltare con l’orecchio del cuore

È vero che possiamo salutare con tante parti del corpo, come ci ha insegnato La Rappresentante di Lista a Sanremo. Ma è altrettanto vero che possiamo ascoltare solo con il cuore.
Il messaggio del Santo Padre per la 56esima «Giornata mondiale delle comunicazioni sociali», che quest’anno si celebra, in molti Paesi, il 29 maggio 2022, è un importante seme da coltivare. Le sue parole, rese note lo scorso 24 gennaio, in occasione della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, hanno proprio come tema: «Ascoltare con l’orecchio del cuore».
Il Pontefice parte dalla constatazione che, sotto l’aspetto del prestare attenzione, viviamo una situazione ambivalente:
stiamo perdendo la capacità di ascoltare chi abbiamo di fronte, sia nella trama normale dei rapporti quotidiani, sia nei dibattiti sui più importanti argomenti del vivere civile. Allo stesso tempo, l’ascolto sta conoscendo un nuovo importante sviluppo in campo comunicativo e informativo, attraverso le diverse offerte di podcast e chat audio, a conferma che l’ascoltare rimane essenziale per la comunicazione umana.
Non si ascolta che con il cuore
L’ascolto di cui parla Papa Francesco non abita nei trattati di fisiologia umana che descrivono l’anatomia dell’apparato uditivo. E non fa riferimento alla mera struttura fisica e cerebrale che ci mette in condizione di percepire i suoni. L’ascolto di cui sentiamo la mancanza e che facciamo sempre più fatica a praticare è un atto d’amore nei confronti degli altri.
Che l’ascolto sia una faccenda del cuore è sempre stato evidente. Almeno ai santi. Sant’Agostino, per esempio, scriveva: «Non abbiate il cuore nelle orecchie, ma le orecchie nel cuore». Anche San Francesco d’Assisi esortava i propri fratelli a «inclinare l’orecchio del cuore».
L’ascolto, dunque, non riguarda solo il senso dell’udito, ma tutta la persona. E la sua sede d’elezione sono le nostre emozioni e i nostri sentimenti. Lasciamoci incantare, dunque, come Umberto Saba, dalla «rima fiore amore, la più antica, difficile del mondo», ma ricordiamoci di aggiungere sempre la rima ascoltare amare. Pure questa è la più antica, difficile del mondo.
Le sordità che dunque siamo
Come sottolinea Papa Francesco, esiste una sordità interiore che è peggiore di quella fisica. Su quella, tutti dobbiamo rimboccarci le maniche.
Può essere una sordità temporanea che ci impedisce un buon ascolto dell’altro. Per esempio, dovuta al fatto che siamo troppo stanchi per il lavoro o preoccupati per qualcosa o maldisposti verso una determinata persona. Ma potrebbe anche trattarsi di una sordità «strutturale», per così dire, per la quale certi contenuti non penetrano nella nostra mente o, se riescono a farlo, vengono da noi distorti (1).
Alzi la mano chi di noi non ha argomenti, situazioni o problemi, di fronte ai quali le orecchie si chiudono e la mente si blocca. A me si sigillano proprio, quando mi si parla di malattie gravi o di lutti. Ad alcune amiche, quando si conversa di calcio o di politica. A mio marito e a molti uomini, quando il tema è la moda o la cosmesi.
Sono aree d’insicurezza o inquietudine che ci caratterizzano e che ci portiamo dietro, a volte, dall’infanzia. Sarebbe utile interrogarci su quali sono i filtri all’ascolto che abbiamo ereditato dalla nostra storia personale, a causa di esperienze, preconcetti, abitudini mentali, ricordi, paure o aspettative, per poterli superare e diventare dei migliori ascoltatori. Come si legge nel messaggio del Pontefice: «il primo ascolto da riscoprire, quando si cerca una comunicazione vera, è l’ascolto di sé».
Dialogare, non duologare
Un altro segno della nostra difficoltà ad ascoltare con il cuore, come strumento per una buona comunicazione, è l’insana tendenza a fare monologhi, anziché entrare in dialogo con gli altri. Spesso, anche il nostro interlocutore sta proponendo un monologo con il bel risultato di essere, entrambi, all’interno di un duologo, come lo ha definito Abraham Kaplan (2).
Il monologo è proprio frutto di un profondo disinteresse all’ascolto dell’altro, perché siamo interessati a imporre le nostre idee, strumentalizzando l’interlocutore per un nostro interesse. Più che impegnarci nella ricerca della verità o, almeno, della posizione più valida attraverso un confronto ragionato di opinioni, desideriamo affermare le nostre ragioni e ricevere il consenso dell’audience.
A questa deriva comunicativa, il social web ha senz’altro contribuito, ma non ha certo creato ex novo la dinamica, l’ha soltanto acuita. Già negli anni Venti del Novecento, un filosofo come Martin Buber ci metteva in guardia dai monologhi, consigliandoci di dare del «tu» e non dell’«esso» all’interlocutore (3). In altre parole: di considerarlo una persona da incontrare nella relazione, non un oggetto da utilizzare per i nostri scopi.
Il compito dei giornalisti
Chi informa per mestiere dovrebbe esercitarsi, più degli altri, a diventare consapevole delle proprie sordità interiori e ad avviare un reale dialogo con la comunità, senza cadere nella tentazione di un monologo. Come scrive il Santo Padre nel suo Messaggio:
non si fa buon giornalismo senza la capacità di ascoltare. Per offrire un’informazione solida, equilibrata e completa è necessario aver ascoltato a lungo. Per raccontare un evento o descrivere una realtà in un reportage è essenziale aver saputo ascoltare, disposti anche a cambiare idea, a modificare le proprie ipotesi di partenza. Solo se si esce dal monologo, infatti, si può giungere a quella concordanza di voci che è garanzia di una vera comunicazione. Ascoltare più fonti, “non fermarsi alla prima osteria” – come insegnano gli esperti del mestiere – assicura affidabilità e serietà alle informazioni che trasmettiamo.
Il giornalismo costruttivo offre un ottimo esempio di informazione nata dall’ascolto. Ha conservato, infatti, la pazienza di conoscere appieno i fatti da narrare, la capacità di stupirsi di fronte alle storie delle persone e il desiderio di ricercare soluzioni argomentative ai problemi. Ascolta, insomma, con le orecchie del cuore e, in questi tempi feriti, conforta i lettori, permettendo anche a loro di ascoltare con le orecchie del cuore.
Mariagrazia Villa
Approfondimenti
1. Maria Teresa Giannelli, Comunicare in modo etico. Un manuale per costruire relazioni efficaci, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006.
2. Abraham Kaplan, Il duologo. La vita del dialogo, a cura di G. Scarafile, Morcelliana, Brescia, 2021 (è il testo di una conferenza tenuta nel 1969 da colui che fu definito, dal «Time Magazine», uno dei più importanti filosofi del Novecento).
3. Martin Buber, Il principio dialogico e altri saggi, a cura di A. Poma, Edizioni San Paolo, Milano, 2011.
Crediti fotografici
Foto di Engin Akyurt da Pexels.