Maria Angela Gelati: fare pace con la morte

Maria Angela Gelati: fare pace con la morte

Ho sempre avuto paura di morire. Fino a quando ho incontrato Maria Angela Gelati. Una creatura garbata, profonda, insolita. Capace di un miracolo: riconciliarti con quello che sembra il peggiore dei mali.

È la prima fiùtola di Amletica che vi presento. È un esempio di come, con l’etica, si possa impollinare la comunicazione attorno al pervicace tabù della morte. Che, siamo tutti d’accordo, non è acqua fresca.

Maria Angela Gelati è tanatologa e death educator, formatrice e blogger. Se volete seguirla, cura due sezioni all’interno del portale Vivere il morire. Dal 2007 è ideatrice e curatrice, insieme al fotografo, dj e giornalista musicale Marco Pipitone, de Il Rumore del Lutto Festival, prima rassegna culturale italiana dedicata alla death education.

Come esperta di un tema ancora così scabroso, collabora con molte realtà, tra le quali il Master Death Studies & the End of Life dell’Università degli Studi di Padova, ed è attiva in associazioni, comitati scientifici ed équipe di progetto. Autrice di saggi e articoli, ha pubblicato alcune favole di death education, come L’albero della vita (1), e curato diverse collettanee di saggi, come Ritualità del silenzio. Guida per il cerimoniere funebre (2).

E il bello, in tutto ciò? Che lei è sempre sorridente e radiosa. Da non farti preoccupare, se fossi già morto o lì lì per esserlo. A conferma che «il morir finirà, morta la morte», per citare il sonetto 146 di Willy (3).

Maria Angela, quando e perché hai iniziato a occuparti di death education?

Penso di essermi occupata da sempre di educazione alla morte, dapprima inconsapevolmente, perché, fin da ragazza, ho considerato il tema della morte di importanza rigorosa, fondamentale. Già preadolescente, alcune domande spontanee, che indirizzavo ad adulti e coetanei, evidenziavano una chiara inadeguatezza ad affrontare l’argomento, una crisi di pensiero sul tema, ma non mi arresi. A poco a poco, cominciai una ricerca, non solo personale – a partire dall’interno di me stessa – ma anche scientifica, che mi ha portato verso università ed istituzioni, anche all’estero, verso pubblicazioni e letture necessarie. Fu così che cominciai a remare controcorrente, contro la cosiddetta “congiura del silenzio”.

Se l’etica della comunicazione è riflettere sul nostro agire comunicativo, perché è importante riflettere sul tema della morte?

Poiché, inconsciamente, rimuoviamo tutto ciò che ha che vedere con la morte e il morire: quando incontriamo il pensiero della finitudine diventiamo intransigenti, nelle più svariate forme, perché questo terrore ci logora interiormente e ci condiziona. È la TMT, la Terror Management Theory (4). Bene, la death education restituisce un linguaggio. Non solo a noi che ne stiamo parlando, nel qui e ora, ma anche ai nostri familiari, agli amici, alla collettività. Non solo per fare comunità, ma anche per porci il problema del senso del vivere e del dover umanamente morire. L’educazione alla morte come parte della vita, insieme alla spiritualità e alla creatività, ha in sé le caratteristiche della completezza e della preparazione, della verità dell’esistenza e dell’immortalità della nostra essenza. Perciò è importante riflettere sulla vita, di cui la morte è parte, sulle fasi che aprono e chiudono un’esistenza, sulla consapevolezza della cura verso noi stessi e gli altri.

Come aiutare le persone a vivere nella consapevolezza della morte?

La consapevolezza riveste un profondo significato per la nostra attuale vita, ma va praticata. Si riferisce al prendere coscienza e comporta necessariamente l’auto-indagine, la messa in discussione della nostra visione del mondo, smussando quelle resistenze che tutti abbiamo. L’obiettivo dell’ars moriendi, come della death education, è il medesimo, ovvero imparare a non aver paura della morte, creare il coraggio di rischiare la vita, al servizio di un ideale superiore. Quando ci impegniamo a partecipare a un laboratorio, a consigliare o regalare una lettura sul tema, a svolgere un corso di formazione, quando investiamo il nostro tempo con consapevolezza, viviamo presenti a noi stessi, entrando in armonia con la nostra natura più profonda. Ed è lì che possiamo prestare attenzione alla nostra vita, senza riserve, senza pregiudizi. In qualche modo, ci viene offerta l’occasione di liberarci dalla camicia di forza dell’inconsapevolezza.

Come spiegare ai bambini il passaggio dalla vita alla morte?

I bambini, come i giovani adulti, desiderano verità, tempi e spazi in cui ricercarla, esprimerla. La scuola, principalmente, è il luogo in cui l’educazione al morire dovrebbe essere praticata, ancora prima che il lutto entri in classe, ma anche le librerie e le biblioteche dovrebbero accogliere pubblicazioni a riguardo. Le favole sono strumenti indispensabili per aiutare a spiegare il passaggio dalla vita alla morte, a trovare le parole più adeguate a creare un dialogo. L’importanza di accompagnare fanciulli e adolescenti nella comprensione del fine vita è un tema fondamentale che, se affrontato al meglio, è accessibile a tutte le età e consente di evitare i rischi collegati al continuo eludere l’argomento, tra cui l’insorgere dell’angoscia riguardo ciò che non si conosce.

Nel tuo ultimo libro di death education affronti la morte di un animale.

Sì. Nelle case degli italiani, scodinzolano, fanno le fusa, nuotano, canticchiano e squittiscono ben 32 milioni di animali, i quali sono parte integrante della famiglia. Con loro si instaura un legame speciale, per cui il pet diventa un vero e proprio compagno fedele, di giochi e di dialoghi. Ma la vita dei nostri piccoli amici è purtroppo molto più breve della nostra e, quindi, è facile che un bimbo, durante il periodo dell’infanzia, debba sperimentare per la prima volta il dolore della perdita. Così ho proposto alla casa editrice Mursia la favola Mi chiamo Happy.

Puoi dirci qualcosa in più?

Narra la storia di un simpatico cane, Happy, della particolare razza bull terrier che vive con due bambini e i loro genitori. Allegro e vivace, Happy ama correre, fare salti e piroette. Traspare, pagina dopo pagina, l’amore reciproco che lega l’animale alla famiglia, il piacere della condivisione e l’idea di come insieme si possa imparare e crescere, fino al giorno del grande viaggio verso il Ponte dell’Arcobaleno. La favola è scritta in modo semplice, ho utilizzato rime giocose, ed è accompagnata da simpatiche illustrazioni ad opera di Anna Maria Di Giorgi che possono venire colorate con pastelli o pennarelli. Per creare maggiore empatia, ho invitato il lettore ad intervenire in prima persona, incollando la foto del proprio animale, oppure realizzando disegni a tema in spazi predisposti. Ho infine proposto un rituale di congedo per onorare la vita del protagonista, per imparare ad esprimere la gratitudine e la riconoscenza per gli affetti ricevuti e a serbare una dolce memoria per quel tratto di vita percorso insieme ai nostri amici animali.

Mariagrazia Villa


Approfondimenti

(1) Maria Angela Gelati, L’albero della vita, Mursia, Milano, 2015

(2) Maria Angela Gelati, Ritualità del silenzio. Guida per il cerimoniere funebre, Nuovadimensione, Venezia, 2018

(3) William Shakespeare, Sonetti, a cura di A. Serpieri, Rizzoli, Milano, 1995

(4) Sheldon Solomon, Jeff Greenberg e Tom Pyszczynski, The Worm at the Core: On the Role of Death in Life, Random House, New York, 2015

Crediti fotografici

Foto di Elisa Magnoni