Chiamare l’Io per nome: un esercizio di responsabilità
La responsabilità morale di essere per l’Altro, e non semplicemente con l’Altro, inizia da noi stessi. Proprio così. Essere per l’Altro ci chiama in causa più di quanto immaginiamo.
È stato il filosofo Emmanuel Lévinas nei primi anni sessanta del secolo scorso, a sottolineare come l’etica sia interamente fondata sul principio della nostra responsabilità verso l’Altro (1). Sul rifiuto di assimilarlo, di opprimerlo, di ucciderlo. Una responsabilità che è assolutamente prioritaria e riporta, sempre, l’attenzione su di noi.
L’Altro ha la A maiuscola perché il suo volto è, ogni giorno, un inconoscibile che non possiamo possedere. Un’esperienza unica e inafferrabile, che continuamente sfugge alla nostra pretesa e ansia di controllo. Un indesiderabile che può essere straniero, ostacolo o nemico e viene immancabilmente a far esplodere il nostro mondo, dove teniamo tutto a portata di desiderio e godimento.
La presenza del volto dell’Altro ci chiama in causa perché ci sbatte in faccia la sua radicale diversità da noi. È trascendenza concreta e infinito insinuato nel finito e pone sempre un limite al nostro potere, perché non riusciremo mai ad appropriarcene e a conoscerlo. Avremo sempre davanti tre strade: mostrargli indifferenza, distruggerlo oppure accettarlo, accoglierlo e, appunto, sentircene responsabili.
La domanda dell’Altro ci impegna a dare una risposta a noi stessi, prima ancora che all’Altro. A ben vedere, è l’origine di ogni messa in questione di sé. Per questo, condivido l’idea che non ci sia alcun Io prima dell’Io morale (2).
Esercizio: chiamare l’Io per nome
L’idea di questo esercizio mi è venuta qualche anno fa, leggendo una delle esperienze di filosofia quotidiana proposte dal pensatore francese Roger-Pol Droit (3). L’ho adattata all’etica della comunicazione e credo che l’esercizio possa rivelarsi utile. Ecco, punto per punto, cosa vi serve per poterlo svolgere.
- Chi: voi stessi. Non serve altro (perché l’Altro, in questo caso, siete voi).
- Cosa: chiamare l’Io per nome. Il vostro.
- Quando: almeno una volta al giorno.
- Dove: in un posto in cui possiate essere da soli o, in alternativa, con persone fidate (leggi: che non vi prendano per matto/a o scemo/a).
- Quanto: cinque minuti? Dieci? Quindici? Un’ora? Direi fino a quando non vi rispondete.
- Come: con convinzione e, soprattutto, senza barare.
- Perché: per sapere chi è che è per l’Altro (non è uno scioglilingua, ma una necessità morale).
L’effetto è inizialmente straniante, poi sdoppiante, quindi imprevedibile, tipo montagne russe che puoi eccitarti o vomitare, infine rivelatorio.
In che modo praticarlo?
Iniziate a chiamare il vostro nome a voce alta. Chiaro e distinto. Come quando la mamma vi invitava a fare i compiti e voi facevate finta di essere nati senza le orecchie (nota autobiografica, ahahah).
Meglio che non usiate nomignoli, diminutivi o vezzeggiativi. Urlare «topolotta», «pongo» o «micetto» potrebbe falsare l’esercizio. Chiamatevi con il nome con cui siete registrati all’anagrafe, ok? Anche se fosse, ahimè, Abbondanzio o Zosima.
All’inizio, è quasi certo che vi verrà da ridere, per reagire al senso di straniamento che l’esercizio porta con sé. Beh, non siamo soliti chiamarci per nome. Sono gli altri a chiamarci. Per cui ci sta che la situazione possa sembrarvi aliena e buffa.
Poi, piano piano, il fatto di pronunciare il vostro nome con insistenza, come se foste altrove e non voleste rispondere, lo percepirete come uno sdoppiamento inquietante, tipo Shutter Island, e perseverare vi apparirà un’occupazione serissima e degna di attenzione.
Continuate a invocarvi fintanto che non vi verrà da rispondere alla chiamata. Potrà essere un «Eccomi!» convinto. Un tenero «Tesoro, sono qui», ma anche un sospettoso «Cosa vuoi?!» o un irritato «E falla finita!!». È importante ascoltare qual è la risposta. È il vostro Io che avete interpellato, chiamandolo finalmente per nome.
C’è qualcosa da imparare?
Non c’è qualcosa di prestabilito da apprendere. E nemmeno un insegnamento valido per tutti. C’è solo da ascoltare il proprio stato d’animo. C’è da stare con l’emozione che il cercarci suscita in noi. C’è da stare con la risposta che ci daremo. Perché è con quella risposta che siamo per l’Altro. Nella vita, così come nella comunicazione.
Provate l’esperienza. Vi stupirà ciò che capirete di voi e ora nemmeno supponete. Realizzerete che urlare il vostro nome vi ha fatto sentire al settimo cielo oppure provare un profondo senso di compassione. Prenderete atto che, all’inizio, sbraitavate come foste a un corteo di protesta e, poi, bisbigliavate come si fa con un amante. O l’esatto contrario. Constaterete che, a un certo punto, dopo aver atteso invano una risposta che non affiorava alla coscienza, vi siete spazientiti e avete lasciato perdere, temendo di diventare troppo vecchi nel fare l’esercizio.
E… fatevi delle domande. Se si ripercorre il pensiero di Lévinas, il nostro incontro con il volto dell’Altro è proprio esperienza di epifania, di appello e di chiamata che l’altra persona ci rivolge. Soltanto di fronte a questo volto, in questo scarto di comprensione, con questa rivelazione di chi siamo, riusciamo a costruire relazioni autentiche e rispettose di noi e dell’Altro.
AVVERTENZA Se in questo momento della vostra vita, state ancora costruendo la vostra personalità, perché magari siete adolescenti, o la state ricostruendo a seguito di un evento “destrutturante” che avete vissuto o state vivendo, aspettate di sentirvi pienamente in voi prima di svolgere l’esercizio. Me lo promettete?
Mariagrazia Villa
Approfondimenti
(1) Emmanuel Lévinas, Totalità e Infinito. Saggio sull’esteriorità, tr. it. di A. Dell’Asta, Jaca Book, Milano, 2016 (il saggio, in francese, è stato pubblicato per la prima volta nel 1961).
(2) Zygmunt Bauman, Le sfide dell’etica, tr. it. di G. Bettini, Feltrinelli, Milano, 1996 (il saggio, in lingua inglese, è stato pubblicato per la prima volta nel 1993).
(3) Roger-Pol Droit, 101 esperienze di filosofia quotidiana, tr. it. di S. Mancini, Blackie Edizioni, Milano, 2020 (il saggio, in lingua francese, è stato pubblicato per la prima volta nel 2001).
Crediti fotografici
Foto di (El Caminante) da Pixabay