Lavoradio: metti più futuro nel lavoro
Accendiamo un cero a Karl Marx tutte le sere? O siamo già oltre, e ci fermiamo a contemplare l’icona di Marshall McLuhan? In entrambi i casi, dobbiamo andare avanti.
Nel fiume in piena della rivoluzione tecnologica, sociale e antropologica che stiamo vivendo, dove siamo? La nostra parola-chiave è ancora «produzione»? Pensiamo nuovamente al capitale industriale e alle merci? Oppure ragioniamo in termini di medialità e abbiamo sempre in bocca vocaboli come «comunicazione», «spettacolo» e «consumo»? Dall’alienazione siamo passati alla distrazione? Dalla coscienza di classe ai desideri degli utenti?
Benvenuti nella documanità
Oggi viviamo in quella che il filosofo Maurizio Ferraris ha definito «documedialità» (1). È l’era che non produce più beni, ma documenti intesi come oggetti sociali, genera mobilitazione traendone automazione e non fa rumore. È un capitale nuovissimo, capace di influire, più di quello finanziario, sulla creazione del valore, sui rapporti sociali e sull’organizzazione della vita delle persone, sempre più inclini a far cadere la differenza tra lavoro e tempo libero.
Gli individui puntano all’autoaffermazione e al bisogno di riconoscimento, ma rischiano di essere sempre più monadi in un’atomizzazione dell’identità e un’orizzontalizzazione dei rapporti dove «uno vale uno». In questo contesto, il mondo del lavoro è cambiato, radicalmente cambiato. E anche le categorie che usiamo per definirlo, crearlo, strutturarlo, cercarlo e trovarlo sono mutate.
Per questo, ho deciso di coinvolgere l’amico e collega Vito Verrastro, che stimo tantissimo. Il motivo? Perché ci parlasse del suo Lavoradio, radio-magazine e podcast che racconta il cambiamento del mondo del lavoro in termini di opportunità.
Chi è Vito Verrastro
Giornalista professionista e comunicatore freelance, Vito muove i suoi primi passi professionali negli anni Ottanta. Dopo una serie di esperienze maturate su carta stampata, radio e televisioni in Basilicata, arrivano le collaborazioni più prestigiose. Su tutte, RDS Radio Dimensione Suono, in cui lavora da corrispondente e da inviato tra il 1996 e il 1999, e INN Tv, la prima tv all news italiana. Nel 2001 fonda l’agenzia di comunicazione Basilicata Press e si divide tra uffici stampa, progetti giornalistici, formazione, ideazioni di format editoriali, presentazioni e moderazioni di eventi.
Nel 2012, in un moto di altruismo visionario, Vito dà alla luce Lavoradio. L’anno successivo lancia il Jobbing Fest, evento che porta nelle scuole e nelle università i messaggi sulle occasioni del futuro; il format viene premiato nel 2014 come uno dei migliori progetti italiani in tema di inclusione sociale dal Sodalitas Social Award.
Co-founder del Constructive Network insieme ad altri giornalisti italiani e membro di FiordiRisorse e Federmanager Basilicata, nel 2020 Vito diventa anche orientatore certificato per ASNOR (Associazione Nazionale Orientatori), coniugando la passione per l’analisi degli scenari del lavoro e per l’allenamento delle competenze con l’attività di comunicazione e divulgazione. Nel 2021 inaugura per Asnor e per altri Master universitari il corso in “Comunicazione costruttiva che attira il lavoro”, all’interno di un più vasto percorso sulle soft skills.
Com’è nato, Vito, il progetto Lavoradio?
Estate 2012, ora di pranzo, l’ennesimo tg delle reti generaliste snocciola notizie negative sul mondo del lavoro: crisi, scioperi, proteste, licenziamenti… Mi chiedo come fare a raccontare che quella è solo una parte della verità e che occorre invece accendere i riflettori sulla bellezza del cambiamento e sulle opportunità. Con la collega Angela Di Maggio, che sposa la causa, chiamo l’editore di Radio Tour (un’emittente lucana, ndr.), Gianluigi Petruccio, chiedendogli lo studio per immaginare una rubrica settimanale che fosse un po’ il Millionaire della radio. Avevo già chiaro allora che Lavoradio per me non sarebbe mai stato business, ma sfida e messaggio culturale e sociale. E così è stato.
Perché è importante riflettere sul tema del lavoro?
Perché il lavoro non è un “posto” – cito il titolo di un illuminante libro di Lorenzo Cavalieri (2) – ma un percorso liquido, con pochi punti di ancoraggio. Per emergere c’è bisogno di un doppio sguardo: quello dentro se stessi per conoscersi, indagarsi a fondo, scavare e portare in luce consapevolezze; e quello verso il mercato, che cambia velocemente. In questo scenario non si può prescindere dalle competenze, e per questo molto più che in passato bisogna studiare, ascoltare, osservare, “imparare ad imparare”, conservando quella fame e quel pizzico di follia di jobsiana memoria per andare oltre gli ostacoli e proiettarsi in un futuro possibile.
Quale approccio hanno la generazione Z e Alpha?
I giovani e giovanissimi lo stanno cambiando dall’interno, questo mondo che per tanti versi rimane incagliato a schemi novecenteschi. Non c’è ragazzo che ad un colloquio di lavoro non chieda, come prima cosa, la flessibilità e la possibilità di lavorare da remoto, per ottenere un maggiore bilanciamento vita-lavoro, che diventa prioritario. E sono tanti i giovanissimi che, prima di accettare un incarico, si documentano su chi e cosa ci sia davvero dietro quel brand con cui collaboreranno. Amano gli approcci etici, le sfide globali, sono rigorosi: oserei dire che sono loro a fare i colloqui alle aziende e non viceversa. A fronte di questo atteggiamento da parte dei talenti, dotati di competenze e di potere contrattuale, c’è quello da “resa preventiva” di chi si lascia influenzare dai messaggi esterni e spaventare dal cambiamento in atto, e non provvede a dotarsi di competenze. I tanti, troppi NEET (chi non lavora, non studia e non è in formazione, ndr.) devono far riflettere…
In questi mesi, ti sei occupato della YOLO economy che arriva dagli Stati Uniti: attecchirà anche in Italia?
Inevitabilmente. La pandemia ci ha messi di fronte a isolamento, sofferenza e morte, spingendoci a riflettere su ciò che valga davvero la pena di essere vissuto. È come se fossimo scesi da una giostra che girava in modo vorticoso, e la nausea ci ha costretti a guardarci dentro. Chi può, oggi, lascia ambienti/datori di lavoro “tossici” e punta a realizzare qualcosa che sia più in linea con i propri valori, con ritmi più bilanciati e con scelte coraggiose. Era ora!
Come gestiranno le aziende la post pandemia, relativamente all’utilizzo delle tecnologie digitali?
In mezzo al magma fluido del cambiamento, abbiamo due certezze: le transizioni digitali e green sono due delle direttrici dei prossimi decenni. La tecnologia, dopo la bolla sospesa del Covid-19, accelererà notevolmente e darà alle aziende la possibilità di crescere tanto. Il fattore determinante, però, sarà ancora una volta quello delle risorse umane. E da questo punto di vista il mismatch (disallineamento, ndr.) tra la domanda e l’offerta di opportunità di lavoro nel settore tecnologie rischia di ampliarsi pericolosamente. Già oggi le aziende cercano disperatamente talenti della cybersecurity, dell’analisi e gestione dei dati, dello sviluppo informatico, ma ne trovano davvero pochi. È un problema che rischia di impattare sulla produttività delle imprese e dell’intero sistema-Paese.
Come può il giornalismo costruttivo e delle soluzioni cambiare l’informazione nel campo di cui ti occupi?
Possiamo fare tantissimo, andando oltre il sentire comune del mainstream – e cioè il lavoro che non c’è – per cambiare la percezione. Raccontando storie di chi si mette in gioco e ce la fa, nonostante le tante difficoltà che il nostro Paese ha – dall’ascensore sociale bloccato alla precarietà, dalla fiscalità elevata alla scelta di puntare su strutture poco efficienti come i Centri per l’Impiego – possiamo ispirare, orientare, regalare sprazzi di luce a chiunque, oggi, si senta un po’ perso sulla via del lavoro. Non parlo solo di giovanissimi, ma anche di chi, ad età avanzata, può inciampare in perdita di occupazione o nella sfida della riqualificazione.
Mariagrazia Villa
Approfondimenti
- Maurizio Ferraris, Documanità. Filosofia del mondo nuovo, Laterza, Bari-Roma, 2021.
- Lorenzo Cavalieri, Il lavoro non è un posto. Come allenarsi e allenare i figli a un mondo che cambia, Vallardi, Milano, 2015.
Crediti fotografici
Foto Archivio Vito Verrastro.