Keep calm and… fai il giornalista

Keep calm and… fai il giornalista

Forse non ci avete mai pensato, ma la prima qualità che dovrebbe possedere chi fa informazione è la calma. La forza tranquilla di chi osserva il mondo e prova, con pacatezza, a raccontarlo.

Tanti anni fa ero responsabile, insieme a una collega, della Gazzetta dei Piccoli, un settimanale d’informazione dedicato ai mini lettori. Un giorno, fui invitata in una quarta elementare del Parmense per parlare del mio mestiere. Un mese dopo, uno dei bambini che aveva partecipato all’incontro scrisse sul giornalino della scuola: «Mariagrazia era in ritardo, correva con il taccuino in mano e aveva i capelli arruffati e la giacca messa male. Era molto agitata, come tutti i giornalisti».

Ecco: perfino nell’immaginario di uno scolaro di 9 anni, chi fa informazione è uno scappato di casa. Una persona irrequieta, trafelata, abbigliata alla bell’e meglio, un po’ in disordine, che fa un lavoro serio ma sembra sempre che stia passando di lì. E non diamo questa immagine per caso, eh. Spesso ci muoviamo come se avessimo un rottweiler alle calcagna e, nei nostri pezzi, diamo questa brutta sensazione di fretta indiavolata e difficoltà emotiva.

Vi pare lo stato d’animo più indicato per incontrare la gente o per dare le notizie? Non lo è. Per indagare la realtà e restituirla al proprio pubblico bisogna rimanere calmi.

La saggezza di Thich Nhat Hanh

Ottobre 2008. Il monaco buddhista vietnamita Thich Nhat Hanh, durante un viaggio in India, viene invitato a fare il redattore ospite al Times of India, il quotidiano più importante del Paese. Un giorno, mentre è in riunione con i redattori del giornale, giunge in redazione la notizia di un attacco terroristico a Mumbai, al confine con il Pakistan, in cui hanno perso la vita molte persone.

I giornalisti gli chiedono: «Se lei fosse un giornalista, come farebbe a riportare le notizie, visto che ce ne sono così tante di cattive e così poche di buone?». Thich Nhat Hanh rimane in silenzio per un po’, concentrandosi sul suo respiro, poi risponde: «Dovete dire la verità, ma dovete dare le notizie in modo tale da non innaffiare i semi della paura, della rabbia e della vendetta nel cuore della gente». E aggiunge: «Perciò dovete stare seduti come praticanti [buddhisti, ndr] e guardare in profondità» (1).

Se scriviamo in preda allo shock, alla paura o all’indignazione, i nostri articoli finiranno con l’alimentare quegli stessi sentimenti nei lettori. Se proviamo, invece, a comprendere con pazienza e mitezza cosa è accaduto e il motivo per cui è accaduto, possiamo accrescere la visione profonda di chi ci legge e metterlo nella condizione di valutare le cose con maggiore serenità e compassione.

Perché la calma è così preziosa

Scrivere a partire da uno stato di calma, considerando e valutando le situazioni con equilibrio e razionalità e non sotto l’onda alta e limacciosa delle emozioni, evita il rischio di polarizzare gli argomenti, schiacciando il mondo in una sola dimensione ed eccitando gli animi del pubblico verso il bianco o verso il nero.

Raggiungere il nirvana giornalistico è fattibile, se andiamo oltre il luogo comune del giornalista sull’orlo di una crisi di nervi. Il primo passo è attenersi alla deontologia professionale, che aiuta a non partire in quarta e a soppesare bene le parole da usare (2). Il secondo è l’empatia, il presentire cosa possano provare, chi è coinvolto nella notizia e chi la riceve, in seguito e a causa della nostra narrazione (3).

Praticare e coltivare la calma è possibile, anche se non viviamo nel tempio tibetano di Jokhang a Lhasa. Ed è altamente consigliato, non solo per noi giornalisti, ma per tutti coloro che condividono o danno notizie sui social network, dai blogger agli influencer, ai semplici cittadini.

Un esempio di informazione pacata

Il buon giornalismo non sta, dunque, nel nascondere la verità, ma nel raccontarla senza burrasche emotive, dopo averla lasciata decantare dentro di noi e scandagliata nella sua interezza: negli angoli bui, ma anche negli spiragli di luce.

Più rispecchiamo e presentiamo i fatti e i fenomeni con pacatezza, più il puzzle della realtà si compone in tutte le sue tessere, le belle e le meno belle. Più siamo emotivamente turbati, più infliggiamo a persone innocenti il nostro disagio e ciò che emerge dal racconto istiga disperazione, ira, frustrazione. In una parola: sofferenza.

In Italia c’è un magazine che fa, della serenità di analisi e di giudizio, lo strumento per indagare e restituire il mondo: News48. Non si tratta di giornalismo delle buone notizie perché, mi spiace darvi la ferale notizia, le cose che meritano di essere narrate e conosciute non sono solo quelle positive, ma di un giornalismo costruttivo.

Questi giornalisti-costruttori esplorano e studiano la complessità degli eventi e, nel caso di problemi, raccontano le soluzioni che hanno funzionato, rivoltandole come un calzino per metterne in evidenza limiti e risorse. Proprio quello che sarebbe ragionevole fare, quando si affronta una difficoltà e si cerca di uscirne. O preferite urlare come dei matti esagitati, contagiando chi vi circonda??

Mariagrazia Villa


Approfondimenti

  1. Thich Nhat Hanh, L’arte di comunicare. Nutri le tue relazioni con amore e rispetto, Macro Edizioni, Cesena, 2014, p. 63 (la prima edizione in inglese è del 2013).
  2. Michele Partipilo, La deontologia del giornalista ai tempi dell’informazione digitale, Centro di documentazione giornalistica, Roma, 2018.
  3. Assunta Corbo, Empatia digitale. Le parole sono di tutti, il contenuto è tuo, Milano, Do it human Editore, 2020.

Crediti fotografici

Foto di StockSnap da Pixabay.