Francesca Bonotto o la grazia di ispirare il bene
La ammiro. Non solo è una brava art director e giornalista di moda, con incursioni nel sociale e nell’arte. Sa anche ispirare il bene. E lo fa con grazia: in punta di piedi, eppure con determinazione.
Ho scelto Francesca Bonotto come quattordicesima fiùtola di Amletica proprio perché, con la sua comunicazione, riesce a impollinare sia l’«etica della convinzione» sia l’«etica della responsabilità», per dirla con Max Weber (1). Assume, infatti, quale criterio del suo agire comunicativo, ciò che ritiene buono, vero e giusto rispetto alle proprie convinzioni, ma considera anche, responsabilmente, le conseguenze delle proprie scelte ai fini del mantenimento del legame sociale. E, aggiungerei, dell’evoluzione delle coscienze.
L’etica è quella regione ampia (sconfinata?) in cui ci troviamo a vivere. E avere accanto Francesca ci conforta e ci dà coraggio. Perché lei sente le inquietudini, sue e nostre, l’infinita fame di bene che abbiamo e il nostro essere sempre potenze limitate. Il suo cuore cerca di fare cuore con il nostro.
Chi è Francesca
Laureata in Comunicazione integrata e design allo IUSVE, oggi Francesca ricopre, nello stesso istituto, il ruolo di docente di Creative & Fashion Lab, Storia della comunicazione di moda e Comunicare la moda responsabile.
Dal 2017 collabora con alcune emittenti radiofoniche, tra cui IUSVE Cube Radio, per la quale cura e conduce la rubrica ModaPuntoCom, dedicata alla comunicazione di moda (prevalentemente etica e sostenibile), che oggi è anche un blog professionale.
Ha preso parte, come ospite, a diverse conferenze sui temi della sostenibilità nel sistema moda. Ha collaborato con testate online e offline nella creazione di articoli e approfondimenti dedicati. Dal 2021, è giornalista pubblicista, editor e contributor per la testata The Sustainable Mag. Fa parte del collettivo TramaPlaza, per il quale è collaboratrice di redazione addetta alle ricerche.
Nel 2019 ha collaborato ai LAB IUSVE, apportando competenze e conoscenze nell’ambito della comunicazione, settore moda etica e sostenibile. Ha, inoltre, curato la parte progettuale e i rapporti con le aziende ospiti per il progetto Armadio Etico, una mostra educativa per l’ecologia integrale e i nuovi stili di vita, nell’ambito della moda inclusiva e sostenibile.
Una professionista completa, interessata alla cultura della moda (2), alla sua comunicazione e al marketing (3), ma soprattutto al tema della sostenibilità (4) e dell’etica (5).
Come hai deciso, Francesca, che comunicare sarebbe diventata la tua professione?
È stata una crescita naturale. Come racconto anche nel mio sito, sono nata e cresciuta tra arte e bellezza, seppur a diversi livelli. La cura e la ricerca estetica mi hanno sempre accompagnata lungo il percorso di vita. A ciò si è aggiunto un ambiente famigliare alquanto creativo: mio padre bravissimo disegnatore e appassionato d’arte, mia madre parrucchiera, le mie nonne sarte e creative nell’animo. Ho iniziato a disegnare da piccolissima, prima sulle pareti di casa e poi, fortunatamente, in grandissimi fogli bianchi. Tutto ciò che può essere considerato arte l’ho in qualche modo conosciuto o esplorato, e questo ha creato in me una progressiva consapevolezza di voler lavorare con la creatività.
E la passione per la moda, come è partita?
Sono sempre stata incuriosita dalle stoffe, dalla loro consistenza e dai colori. Mi affascinava la possibilità di poter creare dalla materia in assoluta libertà espressiva. Con tutto questo, dovevo far coesistere anche la mia parte concreta. Ho sempre pensato che dovevo mantenermi da sola e per farlo dovevo scegliere una professione che potesse darmi questa possibilità. Ricordo ancora che da piccola, al mare, con il gruppetto di amici, con cui ci si ritrovava ogni anno, avevo inventato un “business”. Creavamo piccoli accessori con le conchiglie che raccoglievamo al mattino sul litorale. Alquanto bizzarro vendere le conchiglie al mare, ma noi ci riuscivamo! La frontwoman del gruppo ero io, che raccontavo e spiegavo disinvolta le caratteristiche di tali creazioni.
Insomma: comunicavi già da piccola…
Sono sempre stata affascinata da chi riusciva a comunicare bene, articolando discorsi e presentandosi a dovere. La scelta definitiva di entrare in questo mondo è avvenuta con la selezione delle scuole superiori. Ho mostrato personalmente il nominativo della scuola che volevo frequentare, e mi sono informata se sarei riuscita a formarmi adeguatamente per il mondo della comunicazione. L’arte è sempre stata parte di me, però la comunicazione e la pubblicità mi davano la possibilità di dare un’applicazione pratica e concreta al mio fare nel mondo. Questa scelta è stata poi confermata lungo tutto il mio percorso. Tra alti e bassi, come tutti, la comunicazione è diventata una parte di me. Porto il mio fare comunicazione in ogni cosa che faccio, perché so che così posso dare qualcosa agli altri. Posso fare la mia piccola differenza.
Se l’etica della comunicazione è riflettere sul proprio agire comunicativo, quali sono gli obiettivi che ti poni?
Premetto che cerco di applicare l’etica non solo nella mia professione, ma anche e soprattutto nella vita in generale. Credo fortemente che per essere un “comunicatore etico”, un “imprenditore etico”, “un giornalista etico” o un qualsiasi altro professionista attento, bisogna esserlo in primis come persone. Riassumerei gli obiettivi che caratterizzano la mia attività in tre parole: ascolto, informazione e trasparenza.
Partiamo dall’ascolto.
Quando vengo chiamata per degli incarichi oppure quando incontro i clienti, cerco di dare loro il giusto tempo per raccontarsi. Cerco di ascoltarli anche oltre termini e intenti e di capire davvero di cosa hanno bisogno. A tal proposito, rifletto sempre se le loro ambizioni comunicative siano coerenti con il mio essere e il mio agire. A volte ci perdo il lavoro, però non perdo mai me stessa e le cose in cui credo, e penso che questa sia una grande vittoria.
Poi, tra gli obiettivi etici, hai citato l’informazione.
Questo è l’obiettivo principe del mio fare comunicazione, soprattutto nell’ambito della moda. Attraverso il mio agire cerco d’informare chi mi sta vicino, siano essi potenziali clienti o gruppi di giovani, studenti o aziende. La comunicazione non è solo promozione, oggi più che mai deve aiutarci nell’orientamento al prodotto. Essere informati è il primo passo per poter scegliere liberamente.
E arriviamo alla trasparenza.
Come non ho filtri nel raccontarmi in queste righe, aspetti positivi e negativi compresi, anche nel mio agire professionale cerco di pormi sempre l’obiettivo della trasparenza e di richiederlo a chi si confronta con me. È un obiettivo ambizioso che non sempre raggiungo pienamente. Lo definirei un percorso di consapevolezza, dove tutti gli attori coinvolti apportano un piccolo cambiamento, una crescita utile per il passo successivo, qualunque esso sia. Solo il termine, “trasparenza”, potrebbe sembrare in contrapposizione con la comunicazione stessa, soprattutto se guardiamo alle scelte che ci circondano in questi tempi. Si parla molto di greenwashing, soprattutto nell’ambito della sostenibilità del settore moda, e la comunicazione viene presa di mira come complice di un tradimento verso il consumatore. Non è sempre così e ciò che fa la differenza, come sempre, sono le persone.
Il tuo ambito di competenza è il sistema moda: quali sono gli aspetti più critici su cui si dovrebbe trovare una soluzione?
La moda è un settore affascinante. Il sistema moda è un ambiente complesso. Faccio sempre questa distinzione, anche con i miei studenti, soprattutto quando affrontiamo significati e storia di questo settore. Tutti noi usiamo questi termini come sinonimi e non è sempre così. C’è chi sostiene che non si dovrebbero distinguere, tanto sono raccontati, proprio grazie alla comunicazione, come un’unica cosa. Per mia sensibilità e formazione, preferisco farne una reale distinzione. Ciò mi permette di rispondere in modo più preciso alla tua domanda. Dagli anni Settanta del Novecento la moda si è fatta sempre più sistema finanziario e meno espressione artistica. È sempre stata un settore di crescita e pertanto l’economia ha investito fortemente nel suo sviluppo. Complice il forte rapporto con la società e i pregiudizi di cui questo settore si nutre, come: “la moda è cosa frivola”, “la moda non è importante”. Siamo un popolo contraddittorio, soprattutto nei confronti della moda: la osanniamo ma ci prestiamo a investire in questo settore sempre e sempre di più, con l’obiettivo di usarlo a scopo denaro. Per farla breve, il sistema moda ha risposto prontamente alle esigenze di una società (volutamente) disinformata e di una realtà che prometteva fatturati astronomici: creando la logica fast. Non è stato un passaggio repentino, questo “andare veloce” si è instaurato in noi. E non è solo il sistema moda ad aver abbracciato queste logiche. Potremmo fare lo stesso ragionamento con l’industria del cibo, il settore dei trasporti e soprattutto l’ambito farmaceutico e molti altri.
La logica fast ha avuto, purtroppo, conseguenze negative.
Ovviamente, come per ogni cambiamento, ci sono stati degli aspetti positivi, ma i negativi li stiamo conoscendo solo ora e ce li trasciniamo di giorno in giorno. L’inquinamento del sistema moda è uno dei più impattanti al mondo. Uno degli aspetti più critici è la sostenibilità di settore, anche se oggi parlare di sostenibilità è come dire tutto e niente, tanto è inflazionato il termine. La responsabilità del sistema moda è un ambito in cui, da qualche anno, aziende, associazioni, organizzazioni e molto altro stanno mobilitando le coscienze, al fine di cambiare normative e pratiche che prima consideravamo erroneamente “normalità”. Molto è stato fatto e si sta facendo proprio in questi mesi, tanto c’è ancora da fare. È impressionante affermare che molti cambiamenti positivi sono stati raggiunti grazie a campagne di comunicazione. Minare la reputation di grandi marchi delle catene Fast e Luxury Brand di settore ha avviato un processo informativo e di mobilitazione molto più efficace e con tempi più brevi. Molto è in cantiere per quanto riguarda l’attenzione all’ambiente e quindi la possibilità di creare capi con materiali più innovativi e meno impattanti per l’uomo e l’ambiente. Poco si dice e si fa, invece, per gli aspetti etici del lavoro. La manodopera è ancora una parte del processo produttivo su cui ci sono molti punti di domanda, purtroppo.
Quali sono gli interrogativi che ci dovremmo porre?
La nostra società è ancora persuasa dal prezzo, come unico valore del capo, e le aziende che delocalizzano a basso costo attuano dei processi di schiavitù del lavoro. Chi fa produzioni intensive e copre grandi quantitativi di domanda è ancora molto difficile che possa, nella realtà dei fatti e non nei numeri dichiarati, avvalersi di un processo che porti etica e sostenibilità a livelli umanamente accettabili. Un altro aspetto critico e su cui dovremmo trovare una soluzione nel prossimo futuro riguarda il senso del nostro produrre, nel sistema moda e non solo. Penso che il periodo di pandemia ci abbia fatto riflettere tutti. Siamo stati messi davanti a tante domande, una tra queste il senso della nostra vita. La logica del lavoro e della produzione in cui, nel nostro sistema economico, siamo inseriti s’incrina dinanzi a parole come sostenibilità, etica, rispetto. Quanto questo lavorare continuo e questo produrre continuo ci darà ancora l’illusione dell’immortalità? È ancora così? Queste sono domande essenziali per chi entra in un percorso di sostenibilità, soprattutto nella moda, poiché la chiave è rendersi conto che tutto è collegato e non possiamo agire in un sistema dimenticandone altri. Dobbiamo partire dalle persone.
Quale dovrebbe essere la mindset di una giornalista di moda?
Io sono una giornalista di moda agli albori. Dopo la mia risposta facciamo che ci rivediamo tra qualche anno e confrontiamo se ciò che ti sto per descrivere è ancora nelle mie convinzioni? Posso dirti che, per me, le caratteristiche fondamentali dovrebbero essere la conoscenza della storia della moda e, nel mio caso, della storia della comunicazione di moda, e una grande attenzione per l’attualità. Ogni giornalista di settore condisce il tutto con la sua sensibilità andando a toccare i propri ambiti d’interesse, però credo e constato ogni giorno che la parte culturale e storica siano imprescindibili, soprattutto per la comprensione del presente. La mentalità e l’approccio devono essere sempre di esplorazione, si lavora in un ambito con molte sfaccettature e dove il nuovo è in continuo divenire. Aprirsi al possibile e aver voglia di conoscere, essere curiosi e innamorati della moda, sono a mio avviso ottimi punti di partenza.
Hai appena rinnovato sito e blog: come scegli gli argomenti e i protagonisti degli articoli?
Sono innamorata del mio sito e del mio blog, anche se non si dovrebbe dire. Hanno collaborato colleghi e professionisti di cui vado fiera e penso che mi rappresenti molto. Sto attuando delle collaborazioni per le foto e le illustrazioni per la parte di blog ModaPuntoCom, perché credo che lavorare in gruppo sia sempre una ricchezza aggiunta. Per gli articoli ho stilato un calendario editoriale, che cerco di seguire, dove unisco il periodo di pubblicazione al target che più mi segue, cercando di interpretare le attese e le curiosità. Specifico che “cerco” perché, da brava creativa, spesso faccio cambiamenti e pubblico dei pezzi di cui mi piace scrivere o approfondire. Sto collaborando con delle testate, per cui il mio blog è ancora il mio spazio libero, dove innamorarmi ogni giorno della moda e della comunicazione di moda. Inizialmente intervistavo aziende e marchi con temi legati prevalentemente alla sostenibilità di settore. Dopo il restyling, ho ampliato l’offerta con rubriche diverse dove affronto con ironia: le tendenze, la storia della comunicazione di moda grazie al mio ruolo di docente e pillole sulla sostenibilità applicata alla storia della moda. Nella speranza che le mie parole non siano vane, tra il rosa dello sfondo e titoli creativi, cerco di portare temi come etica e sostenibilità della moda alla portata di tutti, informando e magari strappando anche un sorriso.
Per conoscerla meglio…
Anzitutto, vi segnalo due pubblicazioni. Nel 2016 Francesca ha collaborato alla collettanea Graphic & Digital Designer. Una professione proiettata nel futuro, a cura di Mariano Diotto. E nel 2017 ha firmato, come co-autrice insieme a Giovanna Bandiera e Sofia Bellamio, il volume Pubblicità: manuale imperfetto. Analisi, riflessioni e storie emblematiche sul mondo dell’advertising.
Poi, vi lascio il link a qualche contributo ispirante. Una bella intervista che le è stata fatta su This Marketers Life e alcuni articoli scritti da lei per The Sustainable Mag: «Sull’onda della sostenibilità», «Giralamoda e scegli al sostenibilità», «Vintage Addicted: essere o non essere?», «Re-love, il progetto di upcycling di Altelier Emé e Mending for Good».
Mariagrazia Villa
Approfondimenti
- Max Weber, Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino, 1948.
- Roland Barthes, Il senso della moda. Forme e significati dell’abbigliamento, Einaudi, Torino, 2006; Patrizia Calefato, La moda oltre la moda, Lupetti, Milano, 2011; Maria Luisa Frisa, Le forme della moda. Cultura, industria, mercato, comunicazione, Il Mulino, Bologna, 2015; Federica Muzzarelli, Moderne icone di moda. La costruzione fotografica del mito, Einaudi, Torino, 2013.
- Vanni Codeluppi, Moda e Pubblicità. Una storia illustrata, Carocci Editore, Roma, 2016; Germana Galoforo, Matteo Montebelli, Sabrina Pomodoro, Moda e Pubblicità. Stili e tendenze del Fashion System, Carocci Editore, Roma, 2007; Isabella Ratti, Fashion Marketing, Dario Flaccovio Editore, Palermo, 2019; Giulia Rossi, Digital Fashion Media. Come è cambiato il modo di comunicare la moda, Nuova Cultura, 2018.
- Anna M. Clement, Brian Clement, Meglio nudi che inquinati, Editrice Il Punto, Torino, 2016; Giuseppe Iorio, Made in Italy? Il lato oscuro della moda, Lit Edizioni, Roma, 2018; Francesca Romana Rinaldi, Fashion industry 2030. Reshaping the future through sustainability and responsible innovation, Bocconi University Press, Milano, 2019.
- Paolo Schianchi, Mariagrazia Villa, Immagini parassita e fashion communication tra etica e creatività, Tab Edizioni, Roma, 2021.
Crediti fotografici
Foto Archivio Francesca Bonotto.