Don Renato Pilotto: architetto di una Chiesa onlife
C’è chi, i ponti, li progetta. Chi li costruisce. Chi li collauda. Chi li attraversa. Chi li ammira. E poi c’è Don Renato Pilotto. Che li cura perché vuole curare le persone.
Sono “grandi opere”, i suoi ponti. Servono la Chiesa nella sua nuova dimensione onlife (1), per usare l’espressione del filosofo dell’informazione Luciano Floridi. Quella dove il confine tra mondo fisico e mondo digitale non esiste proprio più.
Don Renato è la terza fiùtola di Amletica che vi presento. E sono certa che vi conquisterà, perché sa impollinare la sua comunicazione, rendendola tornita, empatica e d’impatto.
Prete della Diocesi di Padova (il 9 giugno festeggerà trent’anni di sacerdozio!), ha un baccellierato in Filosofia e uno in Teologia, e… sorpresa! Sta per laurearsi anche in Scienze e tecniche della comunicazione grafica e multimediale allo IUSVE di Mestre. Insomma: di cultura, ne abbiamo?
Don Renato parla correntemente quattro lingue. Anzitutto, la lingua dei giovani. Da sempre, infatti, si occupa di pastorale giovanile. Ha insegnato religione per vent’anni nelle scuole medie statali e, dal 2004 al 2014, è stato responsabile diocesano per i Centri parrocchiali – Oratori.
Poi, conosce a menadito la lingua del giornalismo, della comunicazione e della rete e dei temi etici a essi collegati. E ha un super blog, Chiesa onlife, che vi consiglio di seguire (anche se non siete credenti, forse soprattutto se non li siete).
Infine, possiede la lingua della storia cristiana: pensate che nel 2014 ha ottenuto, dalla Commissione episcopale per i Pellegrinaggi, la qualifica di Guida e Spiritual Leader per la Terra Santa. E, essendo un fan di bici e cicloturismo, ha una grande dimestichezza con la lingua dei viaggiatori: ha alle spalle tantissimi viaggi su due ruote fatti personalmente, oltre ad aver progettato molti eventi sportivi e di conoscenza del territorio.
Don Renato, di recente hai scritto sui tuoi social che vorresti passare, durante la Messa, dall’omelia a un’intervista ai fedeli (2). Quando e perché hai iniziato a coltivare questo sogno?
Nelle nostre chiese spesso c’è molta distanza tra l’altare e i fedeli durante la Messa. In tante occasioni durante l’omelia cerco di avvicinarmi e di guardare negli occhi le persone. Colmare le distanze è stato per me uno dei passi irrinunciabili, fin dai primi anni di prete. Sento molto vicine le idee del Concilio Vaticano II: popolo di Dio che cammina insieme. Faccio fatica a pensare un’omelia come a qualcosa che non sia un “riscoprire un’origine comune”, la Parola di Dio e l’Eucaristia e questo vissuto insieme. Essere prete è un dono in questa direzione, un dono di sé, mettendosi in cammino verso gli altri, come Dio ha fatto per noi.
Quali vantaggi porterebbe ai sacerdoti ascoltare i fedeli e non solo parlare ai fedeli?
È un cambio di prospettiva: non solo fare un discorso, dire parole, presentare qualcosa, meno che meno mettersi in mostra. Occorre mettersi in relazione. Se il centro sono io come prete, tutto sarà “altro” da me: più avanti, più indietro… e non è detto che sia in relazione con me. Io credo ci debba essere un “passo in uscita”, per ricentrare tutto su Cristo: tra fratelli ci si sostiene. La prima forma del comunicare è l’ascolto. Da bambini abbiamo iniziato così, abbiamo imparato ogni cosa in questo modo, molto più con fatti e buoni esempi che a parole. Ascoltiamo e stiamo insieme a chi ci fa stare bene: questa dovrebbe essere la direzione del parlare e dell’ascoltare di noi preti.
Se l’etica della comunicazione è riflettere sul proprio agire comunicativo, che cosa pensi dell’agire comunicativo della Chiesa in questo momento?
Temo ci siano degli equivoci che, anche se spesso in buona fede, svuotano il comunicare della Chiesa, la fanno percepire come in realtà non è. L’illusione, ad esempio, che se predichiamo contenuti buoni (la Buona novella sarebbe qualcosa di diverso), la gente capirà. Come pure pensare che ad un buon contenuto non debba essere associato altro, ci penserà il Signore a fare il resto, casomai. E c’è una scelta di comodo, una “comfort zone” che mi spaventa molto: quando viene confuso il contenuto e il contenitore. Stare dalla parte giusta, strutturarsi, difendersi: non importa cosa viene detto, ma che il mio comunicare abbia l’etichetta desiderata. Si crea confusione, ci si fa scudo di questo.
Pensando al Manifesto della comunicazione non ostile che tu ami e sostieni, qual è il punto che ritieni più urgente e perché?
Il Manifesto della comunicazione non ostile mi ha colpito da subito per la profondità e la ricchezza della sua proposta, senza giri di parole. Il punto che ho sentito più mio è il numero cinque: le parole sono un ponte, scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri. Una sintesi molto efficace: essenzialità, trasparenza, autenticità. Per fare un ponte non basta aggiungere pietre, illudendosi di essere solidi; una vita autentica richiede un progetto: mettere e togliere con credibilità. Il ponte nasce quando non ci si arrende al vuoto: non è la strada, ma permette di fare strada in ogni direzione. Bisogna essere forti, perché nessuno ritorna indietro per ringraziare un ponte.
In quale modo la vita digitale potrebbe aiutarci a essere verso l’altro per l’altro e non per sé stessi?
Vivere insieme dà frutti meravigliosi, ma non è la cosa più riposante del mondo. La vita digitale può avvicinare e facilitare: se tende a sostituire o a compensare, diventa una “non-scelta”. La mia relazione con il digitale non può non tener conto del mio rapporto con me stesso e con gli altri: se le persone o il digitare in rete servono fondamentalmente a rispecchiare me stesso e a proiettarmi su persone o situazioni, si rischia il corto circuito. Il digitale non è altra cosa da me o dalla vita, è un ambiente da abitare: credenti e credibili. Credo possa nascere davvero per ognuno un ottimo stimolo al “pensare plurale”, al fare rete.
Mariagrazia Villa
Approfondimenti
(1) Luciano Floridi (a cura di), The Onlife Manifesto. Being Human in a Hyperconnected Era, Springer, New York, 2014.
(2) Si parla di Don Renato Pilotto e della sua idea di omelia-intervista nel bell’articolo di Pier Cesare Rivoltella: “Pensiero, parole e stile”, in Presbyteri, n.6, 2021.
Crediti fotografici
Foto di proprietà di Don Renato Pilotto.