Adaptation: da qui si costruisce il futuro

Come facciamo a fronteggiare gli eventi inediti e traumatici? Sviluppando una meta-competenza (la mamma di tutte le altre competenze): la capacità di adattarci alla situazione.
L’adattamento è un’abilità cognitiva, affettiva, culturale, tecnica. È scendere a patti con le circostanze. È modificare se stessi, di poco o di tanto, per convivere con il momento che si sta attraversando. È misurarsi con il possibile e fin dove è possibile, per andare incontro al problema, evitando inutili tensioni o gravi danni.
Più che contrastare o combattere il buio, dobbiamo adattarci alla cecità. Vale anche per gli eventi meteoclimatici estremi. Lo dimostra l’intelligente e lungimirante esperienza di Adaptation, webdoc e piattaforma digitale di comunicazione sui temi dell’adattamento al cambiamento climatico, creata dall’amico e collega Marco Merola.
Chi è Marco Merola
Marco Merola è un giornalista e divulgatore scientifico. Da oltre vent’anni si occupa di scienza, tecnologia e grandi temi di interesse pubblico. Ha firmato reportages per diversi magazine italiani ed esteri: GEO, National Geographic, FOCUS, BBC Science, Sette de Il Corriere della sera, Venerdì de La Repubblica, Illustreret Videnskab, Science et vie, Science Avenir.
Marco è anche docente (e immagino che i suoi studenti lo adorino!). Insegna al Master in Reportage di viaggio dell’Università Tor Vergata di Roma, alla Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia, al Master di II livello del Politecnico di Torino in Climate change adaptation and mitigation solutions (modulo di docenza su Reporting Climate Change) e al Master per Divulgatore scientifico in ambito sanitario, biologico ed ambientale dell’Università di Siena.
L’intervista
Sono felice e orgogliosa di pubblicare questa intervista a Marco perché credo che la sua attività giornalistica, accademica e divulgativa sia un importante esempio di etica nella comunicazione. In Adaptation, infatti, la narrazione dei cambiamenti climatici compiuta da Marco e dagli altri validi giornalisti del suo staff non è di tipo apocalittico o catastrofistico. Non è concentrata sulle cause e sugli effetti, ma costruttiva, imperniata sulle soluzioni già messe in atto dalle comunità e sulle storie di coloro che si sono adattati per assicurare anche alle prossime generazioni una vita più dignitosa sul Pianeta. Ci mostra un modo di confrontarsi con il presente, per avere più speranza nel futuro.
Quando e perché, Marco, hai deciso di diventare giornalista scientifico?
«La domanda va divisa in due. Avendo da sempre una grande passione per la scrittura, a 17 anni ho deciso avrei fatto il giornalista e a 18 ero già a fare gavetta nella redazione di un quotidiano napoletano. Quello era anche il mio primo anno di università, il 1992. Mi sono poi testato in tutti i settori del giornalismo ma… la scienza, volevo raccontare la scienza. Io ho fatto un percorso di studi iper-umanistico (Liceo Classico, Giurisprudenza) ma, evidentemente, la genetica non si cambia. Lo dico perché la mia immensa famiglia (intesa come nonni, zii, cugini) era dominata da matematici, astronomi, fisici nucleari, quindi ero accerchiato, non avevo scampo! Così, nel 1999 iniziai a collaborare con l’agenzia di stampa scientifica Eurelios, a Parigi. Facevo il viaggio Napoli-Parigi almeno una volta al mese».
Com’è nato il tuo desiderio di occuparti, nello specifico, di adattamento climatico?
«È stato un desiderio della “senilità” giornalistica, diciamo. Nella vita professionale mi è capitato di raccontare avventure scientifiche di ogni tipo, ma nel 2018 ho capito che avrei voluto impegnarmi su un unico grande tema che fosse molto sentito dalla popolazione mondiale. Così ho riscoperto il piacere di fare il divulgatore a 360 gradi, non più ancorato alla scrittura ma che va tra le persone, partecipa a festival, incontri pubblici e tiene corsi all’Università su Reporting Climate Change. Parlare di “adattamento”, poi, è stata una sfida nella sfida. Parola più negletta ed equivocata di quella non si è mai vista. Molte persone, compresi i miei colleghi, credevano che significasse gettare la spugna, rassegnarsi al cambiamento. Poi, quando ho mostrato loro cosa ho in visto in giro per il mondo hanno cambiato idea».
Perché il progetto internazionale Adaptation ha così tanto valore, in termini di informazione ed educazione ambientale?
«Perché è un progetto che ha molteplici approcci e parla molteplici lingue. Nato come webdoc, poi è diventato una serie podcast per Amazon Audible, poi ancora un format per eventi pubblici (grandi soprese nel 2022!) e poi ancora la base per la buona formazione degli allievi, dalle scuole elementari ai PhD delle università internazionali. Raccontare un processo così importante come l’adattamento con la pretesa di farsi capire da tutti è una roba da folli o da… visionari. Inoltre, non bisogna dimenticare che la filosofia sottesa ad ogni azione divulgativa che facciamo con Adaptation è quella del “giornalismo costruttivo”. Tra tutti, forse, è proprio questo l’approccio che piace di più, sia al pubblico ampio che agli addetti ai lavori. Non “buone notizie” ma soluzioni possibili, utile know how. Noi spieghiamo che qualcuno, nel mondo, ha già trovato un sistema per confrontarsi con il cambiamento e quel sistema, forse, è replicabile anche altrove».
In base a quali criteri, scegli le iniziative e i protagonisti di cui parlare?
«Sicuramente l’innovatività e la concretezza di cui si fanno portatori. A volte ci troviamo di fronte a “progetti pilota”, soluzioni di frontiera ancora in fase di testing, allora ci andiamo con i piedi di piombo, magari decidiamo di aspettare. È una filosofia opposta a quella di quotidiani e tg che, invece, preferiscono “strillare” subito la notizia e spesso prendono anche clamorose sviste. Il nostro pubblico si aspetta accuratezza e profondità dei racconti, storie che mettano l’ambiente al centro e non più l’uomo. Ora è tempo, per il genere umano, di mettersi al servizio della natura e restituirle tutto quello che le ha tolto con la violenza e la pretesa di dominarla. Quindi, le donne e gli uomini protagonisti delle nostre storie sono scienziati, ricercatori, imprenditori, professionisti, agricoltori, gente comune, chiunque sia portatore di buone pratiche di convivenza con il cambiamento».
Se l’etica della comunicazione è riflettere sul proprio agire comunicativo, quali sono gli obiettivi della tua attività giornalistica?
«Informare le persone con rigore e, trattandosi di scienza, fornire loro sempre un adeguato contesto che gli consenta di “destreggiarsi” nella notizia, capendone il vero senso. Se scrivo anche la storia più bella senza fornire contesto, rimarrà solo una storia bella ma non avrò svolto bene il mio compito di divulgatore. Devo anche chiedermi se è il caso di far uscire una notizia in un certo momento invece che in un altro e se il ‘taglio’ editoriale che intendo utilizzare possa prestarsi a strumentalizzazioni o, peggio, ingenerare fake news. Ecco, questo delle fake è il più grosso spauracchio che ho. Io credo che giornalisti e comunicatori debbano fare la loro parte per migliorare la società e aumentare il grado di consapevolezza del pubblico. Se cediamo alla tentazione della notizia “strillata” (vedi sopra) abbiamo fallito l’obiettivo in partenza».
Sei tra i fondatori del Constructive Network: il giornalismo costruttivo quali prospettive può portare all’informazione?
«Se me lo avessi chiesto l’anno scorso, avrei risposto che è duro anche solo spiegare ai colleghi cos’è il giornalismo costruttivo. Invece, vedendo quante e quali persone sono entrate nel Constructive Network negli ultimi mesi, possiamo dire che la constructivity ha sfondato i portoni anche di quelle roccaforti mediatiche che sembravano inespugnabili. Non faccio nomi ma mi riferisco alle più grandi media companies italiane… Finalmente sta passando l’idea che un modo diverso di raccontare le notizie, anche quelle che sono sempre state trattate solo con toni tragici, rappresenta una freccia in più nella faretra del professionista dell’informazione. Soprattutto, si tiene in maggior conto il fatto che l’audience non deve essere considerato come un soggetto passivo che ingoia acriticamente informazioni, ma il soggetto che può rivelarsi il vero gamechanger. Per coniare un nuovo termine, oggi stiamo assistendo alla nascita del Publivism, il Public Activism. Fidatevi di noi che ci occupiamo di cambiamento climatico…».
Per saperne di più
Marco è autore e talent per il segmento Scienza e ambiente della piattaforma Audible di Amazon e, a giugno 2021, ha lanciato la prima serie di podcast sul tema del cambiamento climatico, intitolata Adaptation Italia. Vi consiglio di ascoltarlo!
Potete anche ripercorrere alcune iniziative cui ha preso parte: una diretta Instagram con Paola Manfredi di Vanity Fair Italia; il video di una sua partecipazione al programma Geo di Rai3; il suo ispirante speech al TEDxNapoli del 26 ottobre 2019; il suo viaggio in quattro puntate alla scoperta di vite già trasformate dal cambiamento climatico nella serie di podcast di Radio3 Scienza.
Ho chiesto a Marco una bibliografia essenziale per chi volesse approfondire il tema del cambiamento climatico (1). E lui, con la sua grande generosità e professionalità, ha suggerito titoli davvero di spessore. Per un avvicinamento ragionato e appassionato a problematiche che non sono, come si potrebbe pensare, più grandi di noi. Sono perfettamente compatibili con la nostra meta-competenza all’adattamento. Non è forse questo che Adaptation ci insegna?
Mariagrazia Villa
Approfondimenti
(1) Aurélien Barrau, Ora. La più grande sfida della storia dell’umanità, Add Editore, Torino 2020.
Wolfgang Behringer, Storia culturale del clima. Dall’era glaciale al riscaldamento globale, Bollati Boringhieri, Torino 2016.
Edoardo Borgomeo, Oro blu. Storie di acqua e cambiamento climatico, Laterza, Roma-Bari 2020.
Rachel Carson, Primavera silenziosa, Feltrinelli, Milano 2016 (prima edizione in lingua inglese, pubblicata nel 1962).
Anne Karpf, How Women Can Save The Planet, C. Hurst & Co Publishers, London 2021.
Naomi Klein, Il mondo in fiamme. Contro il capitalismo per salvare il clima, Feltrinelli, Milano 2019.
Elizabeth Kolbert, La sesta estinzione. Una storia innaturale, Neri Pozza, Milano 2014.
Roberto Mezzalama, Il clima che cambia l’Italia. Viaggio in un Paese sconvolto dall’emergenza climatica, Giulio Einaudi Editore, Torino 2021.
Emilio Padoa-Schioppa, Antropocene. Una nuova epoca per la Terra, una sfida per l’umanità, Il Mulino, Bologna 2021.
Greta Thunberg, Svante Thunberg, Beata Ernman, La nostra casa è in fiamme. La nostra battaglia contro il cambiamento climatico, Mondadori, Milano 2019.
Peter Wadhams, Addio ai ghiacci. Rapporto dall’Artico, Bollati Boringhieri, Torino 2017.
David Wallace-Wells, La Terra inabitabile. Una storia del futuro, Mondadori, Milano 2019.
Crediti fotografici
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